| Mangas Coloradas era un colosso alto quasi due metri, era un valoroso guerriero ed era il fiero capo degli Apache Mimbrenos. Difese sempre il suo popolo, non fu mai tacciato di vigliaccheria in battaglia o di slealtà negli accordi che portavano a sotterrare la scure di guerra nei ciclici conflitti con i bianchi invasori. Finché un giorno, ormai settantenne, trovandosi a instaurare delle trattative di pace, lui sotto la protezione della bandiera bianca, gli altri sotto la sfrontatezza della bandiera a stelle e strisce, venne preso a tradimento dagli infami avversari sprezzanti di ogni rispetto per la diplomazia. Mangas Coloradas fu portato in catene a Forte McLean e qui fu torturato con punte arroventate di baionette; tentò di liberarsi, ma i soldati lo uccisero con due scariche di carabina; il suo cadavere venne decapitato e la testa fu inviata a un museo Washington come curioso reperto. Questo è ciò che si seppe della fine di uno dei più grandi condottieri pellerossa di tutti i tempi, e questo è ciò che ancora oggi si sa per certo. Quando la notizia della morte del loro capo giunse agli Apache Mimbrenos, l’intera popolazione si sollevò in rivolta contro gli infidi uomini venuti dall’oriente a impossessarsi delle loro terre. Ripresero le scorrerie contro i ranch isolati, gli assalti alle diligenze, le azioni di guerriglia contro le truppe dell’esercito statunitense. Alcuni Apache Mimbrenos, però, non ritenevano che tutto ciò valesse a vendicare l’oltraggio subito dal prode Mangas Coloradas. Cinque di loro si misero alla ricerca di chi materialmente catturò e uccise l’amato condottiero. Avvenne che, in una calda mattina di giugno, le sentinelle di Forte McLean avvistarono due uomini avvicinarsi a cavallo: uno di loro indossava la giacca blu dell’esercito e questo valse a rassicurare i soldati della guarnigione. Il portone fu aperto e i due uomini entrarono: l’uomo con la giacca blu accompagnava con la minaccia del suo fucile l’altro individuo, suo prigioniero. Il capitano Walzer si avvicinò loro facendosi largo tra i curiosi. Notò che entrambi i nuovi arrivati erano pellerossa. Si rivolse all’uomo in giacca blu: «Scout, da quale forte provieni e come mai ti presenti qui con un prigioniero?». «Vengo da Forte Merson», rispose con un inglese elementare. «Dovevo portare una notizia al comandante di Forte McLean, ma ho scoperto che quest’uomo stava seguendo le mie tracce e l’ho catturato». Walzer diede ordine a due soldati di portare il prigioniero in cella e invitò lo scout a consegnargli il fucile e a presentarsi al cospetto del generale West, comandante di Forte McLean. Il generale West era un uomo alto e secco, canuto di barba e capelli. Ascoltò quello che aveva da riferirgli lo scout e, quando questi finì di parlare, si rivolse a Walzer. «Hai inteso? Anche a Forte Merson vogliono ripetere lo scherzetto che ho ideato per prendere Mangas Coloradas e, fingendo una trattativa di pace, catturare i più importanti capi indiani rimasti in circolazione». «Dubito che possa funzionare, generale. Per quanto selvaggi, i musi rossi non cascheranno un’altra volta nello stesso tipo di tranello che io e Shirland abbiamo abilmente teso a Mangas Coloradas». «Eppure questo messaggero dice che sono state avviate le trattative e che il nostro supporto potrebbe agevolare la buona riuscita dell’operazione grazie all’esperienza che… Ma cosa sta succedendo là fuori?». Dal cortile del forte s’era levato un trambusto di urla, nitriti, rumore di carri. Precipitatosi fuori dall’ufficio del generale West, Walzer vide che il capitano Shirland stava già raccogliendo una quindicina di uomini per lanciarsi al galoppo. «Walzer», gridò Shirland dall’alto del suo cavallo baio, «avverti il generale West che mi lancio in sortita per agguantare quei maledetti predoni». E, senza aggiungere altro, uscì velocemente dal forte seguito dal proprio reggimento, dirigendosi verso una nuvola di polvere che si allontanava sull’orizzonte. Nel cortile, insieme ai soldati rimasti, si trovavano i tre conestoga dell’emporio del villaggio di Kendall Town, che ogni settimana rifornivano Forte McLean di viveri, munizioni e ogni altro bene necessario. L’uomo di scorta alla piccola carovana stava continuando a raccontare l’avventura in cui era incappato. «Eravamo ormai poco distanti dal forte quando abbiamo visto una nuvola di polvere sollevarsi in lontananza alla nostra destra. Capii subito che si trattava di una banda di indiani che, a cavallo, stava dirigendosi verso di noi. Abbiamo portato i carri alla massima velocità; quei dannati si avvicinavano sempre più, abbiamo iniziato a sentire le loro grida di guerra e alcuni spari dei loro fucili, ma siamo fortunatamente riusciti a mantenere una distanza di sicurezza e siamo arrivati al forte prima che ci raggiungessero. Spero che Shirland riesca a mettere loro il sale sulla coda e liberi il mondo dalla loro presenza». «Se non avessimo migliaia di soldati al fronte a combattere una guerra fratricida con gli stati confederati del Sud, avremmo già spazzato via in un battibaleno questi pezzenti rognosi», commentò Walzer a denti stretti, e diede disposizione di portare i carri alle scuderie e di provvedere a scaricare i rifornimenti. Nel frattempo, il pellerossa in giacca blu era entrato nello spaccio del forte: dopo aver ordinato pancetta e uova, si mise al tavolo a mangiare. Entrarono due soldati, uno dai baffi biondi e un altro con una cicatrice sulla guancia: lo squadrarono e si sedettero vicino a lui. «E così, pellerossa, tu saresti un rinnegato che ha tradito la sua gente per stare dalla parte dei vincitori… È così?». Il barman, sentendo puzza di guai, avvertì i due uomini: «Ragazzi, state calmi: non voglio risse qua dentro. Se volete attaccare briga con lo straniero, evitate di farlo qui: non voglio danni nel mio locale». Lo scout rimase tranquillo e finì di masticare il pezzo di pancetta che aveva in bocca. «Ho vissuto con la mia tribù finché il capo Mangas Coloradas non ha visto il mio nuovo cavallo: volendolo per sé, me l’ha preso e, quando mi sono opposto, mi ha cacciato dal villaggio. Per questo motivo io odio tutto il popolo pellerossa. Sarei felice di conoscere chi ha ucciso Mangas Coloradas, perché io stesso avrei voluto ucciderlo». «È la tua giornata fortunata, amigo. Uno dei due giustizieri del vecchio Mangas è il qui presente Gunther Clarks, mentre l’altro è Ernest Horley, ma potrai conoscerlo solo quando tornerà dalla scampagnata che sta facendo in compagnia del capitano Shirland». Il viso del pellerossa si distese in un sorriso verso l’uomo dai baffi biondi. «Soldato Clarks, accetta che io ti offra da bere in segno di gratitudine per aver ucciso Mangas Coloradas». Lo scout fece per alzarsi e dirigersi al banco, seguito dai due nuovi amici, quando dall’esterno giunse un grido d’allarme: «Al fuoco! Al fuoco! La scuderia sta bruciando!». Dopo che i carri erano stati portati alle scuderie, infatti, dalla base di uno di loro si aprì un doppio fondo: un uomo, accertatosi di non essere notato, sgusciò fuori e accese un piccolo fuoco sul foraggio per i cavalli. In fretta, sempre stando attento a non farsi vedere, uscì dalla scuderia e si diresse verso la prigione. Il fuoco si propagò e il fumo iniziò a levarsi. Quando fu lanciato l’allarme per l’incendio divampante, l’uomo di guardia alle celle uscì per osservare la situazione: appena fuori dalla porta, però, fu stordito con un colpo alla testa dall’uomo che era entrato nel forte nascosto nel carro. La sentinella venne gettata nella cella occupata dal pellerossa, che dismise i suoi abiti e si rivestì con la divisa del soldato. Imbavagliato il malcapitato e lasciatolo legato, i due uomini aspettarono che nel piazzale la confusione raggiungesse il culmine e, confidando ragionevolmente che la folla fosse troppo impegnata a occuparsi dell’incendio per accorgersi di due intrusi, lasciarono la prigione. Il generale West e il capitano Walzer stavano coordinando le operazioni per lo spegnimento dell’incendio. Il fuoco si era propagato agevolmente sul foraggio e tutto Forte McLean rischiava di ardere come una catasta di legna secca. Tutti gli uomini della guarnigione furono impiegati nell’impresa; nella concitazione del momento, inizialmente nessuno si accorse dell’assenza di Gunther Clarks. Fu solo dopo diversi minuti che il soldato con la cicatrice sulla guancia pensò di andare a cercare l’amico nell’ultimo posto dove era sicuro di averlo visto, ossia allo spaccio quando stavano uscendo insieme all’udire il grido di allarme. Entrato nello spaccio, l’uomo chiamò il commilitone, ma il locale pareva vuoto. Mentre stava ritornando sui suoi passi, però, notò nell’angolo una figura distesa a terra: si avvicinò e vide con sgomento che una coltellata alla gola aveva ammazzato il soldato Clarks. Il generale West, imprecando per l’infernale giornata che stava passando, stava intanto tornando nel proprio ufficio. Quando aprì la porta, trovò davanti a sé lo scout indiano che s’era presentato al forte quella mattina. Prima ancora di riprendersi dalla sorpresa, due braccia vigorose lo afferrarono da dietro, immobilizzandolo. «Comandante West», disse lo scout, «come tu hai ordinato l’uccisione di Mangas Coloradas a tradimento, così a tradimento tu morirai». E, così parlando, infilò con violenza il coltello nell’addome del generale. Il capitano Walzer, dopo aver dato le ultime indicazioni alle truppe sulle azioni da eseguire per contenere l’incendio, stava per raggiungere il generale West, ma, mentre si avvicinava all’ufficio del comandante, si accorse che c’era qualcosa di strano: fu solo dopo alcuni istanti di stupore che si rese conto che il proprio superiore era tenuto fermo da un individuo in abiti civili ma dall’aspetto di un pellerossa. La mano corse alla fondina della pistola, ma, prima di riuscire ad estrarla, un colpo di tomahawk si abbatté sulla sua spalla, facendolo cadere a terra. Walzer non riuscì ad alzarsi: vide sopra di lui l’uomo che meno di due ore prima gli era stato consegnato come prigioniero e il tomahawk che si calava sulla sua testa per fracassargli il cranio. Lo scout disse agli altri due che a Forte McLean il loro compito era terminato e che era ora di raggiungere i compagni. Nel cortile gli uomini erano ancora impegnati nello spegnimento dell’incendio, perciò non fu difficile appropriarsi di tre cavalli e uscire dal forte indisturbati. Il capitano Shirland con i suoi uomini, frattanto, nell’arco di un paio d’ore aveva notevolmente guadagnato terreno sui cavalieri da lui inseguiti, ma ancora non li aveva raggiunti quando si trovò a passare attraverso un canyon particolarmente angusto. Si gettò a capofitto, certo che la banda di indiani che stava braccando non potesse aver avuto il tempo per organizzare un agguato in quel posto infido. Si sbagliava, perché, appena le truppe attraversarono uno stretto budello, dietro di loro crollò una valanga di massi che ostruì il passaggio per la via del ritorno. I soldati si fermarono sbigottiti e confusi e l’aver arrestato la marcia valse a evitare di trovarsi sommersi da una frana che stava precipitando pochi metri davanti a loro: ora si trovavano intrappolati in un piccolo spazio senza possibilità di spronare i cavalli né avanti né indietro. Senza farsi prendere dalla paura, il capitano Shirland diede ordine agli uomini di smontare e di darsi da fare per spostare manualmente i massi che occupavano il sentiero, in modo da consentire un transito per i cavalli. Prima che i soldati intraprendessero l’attività, una voce giunse loro dalla sommità del canyon. «Fermi! Fermi o morirete tutti! Tra voi ci sono due degli uomini che hanno causato la morte del grande capo Mangas Coloradas: solo loro vogliamo. Gli altri potranno avere salva la vita, ma loro due dovranno venire con noi». Gli sguardi di tutti i soldati puntarono sul capitano Shirland e su Ernest Horley, il quale sbiancò dalla paura e si coprì il volto con le mani. Shirland fu invece lesto a fronteggiare la situazione e gridò: «Nessuno intende ascoltare le vostre assurde richieste! Uomini, pronti alla battaglia!». Il reggimento non sapeva però dove puntare le armi contro un nemico che non si faceva vedere, sennonché, dall’alto della cresta rocciosa, vennero fatte cadere altre grosse pietre che schiacciarono un paio di cavalli e rischiarono di ammazzare altrettanti soldati. Attutitosi il rumore della frana, dei nitriti e delle grida, di nuovo nel canyon si propagò la voce che aveva parlato in precedenza. «Possiamo uccidervi tutti se non fate quello che vi diciamo. Vogliamo solo i due uomini che hanno catturato a tradimento e ucciso il prode Mangas Coloradas». Alcuni dei soldati, in preda al panico, già si dirigevano verso Ernest Horley e, prendendolo per le braccia e per le spalle, lo incitavano a consegnarsi. Horley, divincolatosi, non contemplava minimamente questa ipotesi e, imbracciato il fucile, lo puntò verso il gruppo che aveva cercato di afferrarlo, minacciando di sparare al primo che avesse osato avvicinarsi. La situazione degenerò: un soldato provò ad avventarsi su Horley per strappargli il fucile, ma questi fece fuoco ferendolo al piede; allo sparo, gli altri commilitoni presero le loro armi e le scaricarono su Horley, il quale morì all’istante, crivellato di colpi. Il capitano Shirland aveva assistito impotente alla scena, ma ora le sue truppe, dopo aver contemplato il cadavere di Horley, come fossero assetate di sangue si stavano voltando verso di lui. Shirland aveva in mano la pistola: con gli occhi sbarrati, la agitò di fronte alla dozzina di soldati che lo stava accerchiando e, capito che non gli restava altro da fare, se la puntò alla tempia e si fece saltare le cervella. L’eco dello sparo non si era ancora attutita che la voce dall’alto disse: «Mangas Coloradas è stato vendicato! Siete liberi di andare!». I reduci si guardarono tra loro stupiti e, desiderosi di tornare al più presto a Forte McLean, si diedero da fare per sgombrare dai massi caduti la via del ritorno. Quella sera, cinque uomini si presentarono al cospetto del sachem degli Apache Mimbrenos. Il capotribù conosceva quei cinque giovani guerrieri e si rammaricava che da giorni fossero spariti dal villaggio senza che nessuno sapesse dove fossero andati. Gli raccontarono di come avessero razziato una mandria di cavalli da un ranch, di come avessero trafugato degli abiti e una divisa blu da soldato dalla lavanderia di Kendall Town e di come uno di loro si fosse nascosto nel doppio fondo di uno dei carri in partenza dall’emporio del villaggio verso Forte McLean. Raccontarono inoltre di come due di loro si fossero finti rispettivamente uno scout dell’esercito e un suo prigioniero per poter essere accolti nel forte e di come colui che si era finto scout avesse raccolto informazioni sui colpevoli dell’omicidio di Mangas Coloradas. Raccontarono anche di come i restanti due avessero organizzato un finto attacco alla carovana che portava i rifornimenti a Forte McLean per indurre parte dei soldati a uscire per attirarli in trappola: mentre uno guidava la mandria di cavalli rubati per fingere la presenza di una banda di predoni, l’altro allestiva in cima al canyon depositi di massi a cui sarebbe bastato dare una spinta per farli precipitare nel sentiero dabbasso. Raccontarono di come i tre di loro penetrati nel forte avessero ucciso il generale West, il capitano Walzer e il soldato Clarks e di come, una volta allontanatisi da Forte McLean, con segnali di fumo avessero comunicato ai loro compagni che tra gli uomini lanciati al loro inseguimento si trovavano gli ultimi due superstiti tra i complici dell’assassinio di Mangas Coloradas. Raccontarono infine di come avessero intrappolato il reggimento e come morirono il capitano Shirland e il soldato Horley. Il sachem ascoltò in silenzio il racconto dei giovani guerrieri e infine disse: «Avevate potere di vita e di morte sui vostri nemici e avete scelto di punire solo chi ha ucciso il grande Mangas Coloradas, lasciando in vita coloro che potranno uccidere i suoi figli e i figli dei suoi figli. La guerra non può lasciare spazio a vendette personali: non si ferma una tempesta raccogliendo le gocce di pioggia; non si cancella l’offesa asciugando le lacrime di rancore. Questa guerra deve essere combattuta secondo la natura delle cose: dal popolo rosso secondo il modo di combattere del popolo rosso; dal popolo bianco secondo il modo di combattere del popolo bianco. Non si può chiedere all’orso di combattere come un coyote, né a un coyote di combattere come un orso. Voi avete dimostrato coraggio nell’entrare in contatto con un numero di nemici più grande di voi, ma non avete dimostrato fierezza quando avete scelto di non affrontare apertamente ad armi pari i vostri nemici. Voi avete dimostrato astuzia nell’escogitare un piano rischioso e complesso, ma non avete dimostrato saggezza nel pensare a quale utilità poteva avere il vostro piano. Ora andate, e ciò che avete capito vi sia utile per la vostra vita». Nessuno è in grado di dire quale fu la sorte dei cinque giovani guerrieri, considerato che pure i loro nomi si sono dispersi nella polvere del tempo: non si sa se morirono in battaglia, o se fuggirono dalla tribù per vivere una vita da combattenti solitari, o se raggiunsero i giorni dell’anzianità attorniati dalla loro famiglia nella riserva Apache. Le cronache riportarono invece la morte dei cinque militari che morirono in quel giorno di giugno, senza fare alcun cenno allo smacco subito. Il bollettino ufficiale dell’esercito indicò che il generale West morì a causa di improvvisa malattia; che il capitano Walzer perì nel corso di un incendio sviluppatosi fortuitamente al forte; che il capitano Shirland e il soldato Horley furono vittime di guerra nel corso di uno scontro frontale con guerrieri pellerossa; che il soldato Clarks si ruppe il collo a seguito di una caduta da cavallo. La nazione li onorò con tre spari di commiato così come veniva fatto con tutti i propri valorosi militi che erano morti indossando l’uniforme, portandoli come esempio per la terra degli uomini liberi e per la patria dei coraggiosi. |
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