Inchiostro diVerso - Forum di scrittori e arte

Votes taken by Lucio Musto

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    F59___Cinque_giorni_1


    Chissà se come racconto di avventura va bene...
    che sia stata un'avventura quella, certo che si.
    E la sto pure raccontando...

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    Cinque giorni

    Il primo giorno mi parve brutta.
    Tutto, mi parve brutto, quel primo giorno, anche se l’infinito equilibrio della mia mente lucidissima mi ripeteva che no, niente era veramente brutto, ma solo essenziale, funzionale, razionale.
    Mi diceva, la mente cosciente, che l’universo attorno a me, tutto quello che mi restava, era esattamente come avrebbe dovuto essere.
    Bianco, pulito, asettico… si, asettico… come mi apparve lei.

    Quando hai passato il momento peggiore della tua vita, hai sentito la morte stringerti nel suo abbraccio, e divincolandoti le sei sfuggito per un pelo, ma solo per pochissimo, avresti bisogno di una bottiglia di cognac, un caminetto acceso, Mozart nel giradischi ed un seno enorme in cui confondere saliva e lacrime, sangue di piccoli morsi e sugo di cioccolata…
    Ed invece no. Pareti bianche, luce accecante, lenzuola bianche, puzza di cloroformio, tende bianche, gelido letto cromato, ed una donna senza petto stretta in una divisa bianca e fredda allo sguardo più dei tubi del letto…
    Ringrazi il cielo di non doverla toccare e la trovi brutta… decisamente brutta.

    Oziosamente, penso che non so se mi pentirei, abbracciato da lei, di non essermi lasciato trascinare via dalla nera signora di prima.

    Mi infila, con sadica efficienza aghi nelle vene e tubi dove non gradirei proprio, e scopro di averne anche altri, di tubi infilati nelle carni, rosati e flessuosi, dall’aspetto molliccio, come osceni, chilometrici nudi lombrichi.

    Finisce il suo lavoro e va via, senza avermi rivolto lo sguardo senza avermi detto una parola.

    Qualche porcheria ci deve essere, in quella bottiglia capovolta crocifissa a questo palo d’acciaio perché il sole tramonta in fretta, la notte passa veloce, benché insonne, ed è di nuovo mattina.
    Non ho bisogno di pensarci. Lo so che stamattina non dovrò alzarmi per affrettarmi in ufficio, che la macchina non partirà, non partirà più perché è distrutta, e forse mai più nessuna macchina mi accompagnerà più da nessuna parte… Forse non ho più nemmeno le gambe, forse sono morto…

    Lo schianto, quello mi ritorna bene alla mente, è stato proprio di serie A, di quelli che fanno vedere in TV… ma non mi riesce a decidere se fu colpa mia, o di quell’altro… ma certo ora non conta più.

    Un acuto dolore alla coscia mi apre gli occhi di scatto. Meno male!... allora almeno una gamba ce l’ho ancora. E lei è lì col pungiglione in mano:
    «Buongiorno! – mi fa – sono contento che abbia sentito l’iniezione!... teneva la gamba cosi' abbandonata che pensavo fosse andata!...»
    Sorride soddisfatta alla sua battuta, e mi sembra un ghigno… io questa cosa bianca la odio!

    Ma mi ci dovrò abituare. L’infinito equilibrio della mia mente lucidissima mi dice che l’incidente che ho avuto è stato parecchio grave, come già previsto un nanosecondo prima dello schianto, e non sarà cosa facile né breve liberarsi di tutto questo freddo biancore insolente… mi servirà pazienza… e non serve lagnare.

    Mi concedo solo una preghiera silenziosa, poi sarò un paziente modello:
    «Signore, ti prego, fammela vedere il meno possibile, a questa, che lo so che l’odio è un peccato!».

    L’ho sempre saputo di avere dei buoni addentellati, nelle alte sfere, o di essere fortunato, come dicono i miei miscredenti amici. Come sia, menomale!... quest’obbrobrio bianco si fa vedere solo l’indispensabile, devo riconoscerlo.
    Viene, fa quello che deve fare, controlla, pungica, misura con velocità ed efficienza, mi lancia uno sguardo indagatore fortunatamente rapido e fila via. Non me la sento di lamentarmi.

    Una volta al giorno, arriva il Primario, col codazzo delle sue code bianche. Guarda le carte che si accumulano nel mio dossier (ma non so chi le scriva), borbotta con gli altri e con la Caposala untuosa ed funzionante come un robot, e tanto per darsi un tono mi fa ogni volta un paio di domande di circostanza. Cretine come peggio non si potrebbe immaginare; tipo “come si sente oggi?...” oppure “Le infermiere fanno le brave con lei?...” manco non sapesse che non sento praticamente nulla, e che per quella cosa bianca sono null’altro che un baccalà da idratare!...

    Ho deciso di fare il buono, e rispondo con un sorriso… o almeno credo. Non lo so, se sorrido davvero!...

    I giorni dovevano essere tre, o forse quattro, quando venne la crisi. Questo me lo raccontarono dopo, quando tornai a casa, che allora non me ne accorsi, né del peggioramento, né del crollo imminente.

    Fu di notte, penso, perché mi sembrava buio, ed arrivarono di corsa in quattro o cinque fra medici ed infermiere con quell’apparecchio che dà la scossa ed il carrello di emergenza. Ricordo che ero solo nella stanza perché quello dell’altro letto lo avevano portato via nel pomeriggio, non so se vivo o morto, ma evidentemente qualche sensore che avevo incollato addosso aveva dato l’allarme.
    Accesero fortissimo le luci e si dettero un gran da fare intorno a me palpando, misurandomi e punzecchiandomi. Poi mi misero una maschera, e respirai meglio; me ne accorsi subito.
    Che diamine, non potevano pensarci prima?... ma niente scossa con la macchina delle scosse.

    In definitiva ci misero poco. Poi lasciarono lì la macchina delle scosse ed andarono via, finalmente abbassando le luci.

    Forse mi appisolai, non me lo ricordo, ma non fu un sonno pesante. C’era qualcuno, sentivo una presenza silenziosa, vicino al letto, ma avevo paura di aprire gli occhi.
    Poi, nel silenzio assoluto del reparto ospedaliero il respiro leggero della presenza prese forma di parole… smozzicate, indecise, ma ancora comprensibili:

    «Dai, piccolo vecchietto mio, cerca di non morire… non adesso almeno!... per piacere!
    è la prima volta che mi affidano un paziente in “stato critico” da sorvegliare, e non voglio che mi muori fra le braccia. Fa conto che io sia tua figlia, la tua amante, l’amica del cuore… ti prego, non morire, non adesso!...
    - una pausa lunga, come per trovare altre parole, ed infatti… - ecco!, ti ripeto che proprio non puoi morire adesso, devi farti necessariamente forza… tantissima forza!... è indispensabile!... e sai perché?... lo vuoi sapere?... perché domani è il mio onomastico, e non puoi farmi questo sgarbo.
    Anzi… domani è il “nostro” onomastico!... perché sai?... anch’io mi chiamo Lucia come te, e stanotte è la notte più lunga dell’anno!... io ti starò vicina, e tu non muori, d’accordo?...
    ».

    Mi sforzai di socchiudere gli occhi, ma dall’umido non trasparve che la vaga immagine d’una uniforme biancastra, e richiusi le palpebre, rinunciando.
    Mi parve però di sentire la mano destra più tiepida, e mi sembrò come bagnata.

    Al pomeriggio del 13 dicembre 19.. la prognosi fu sciolta, ed io cominciai a guarire.

    Era il quinto giorno del mio ricovero, e l’ospedale non mi sembrò più tanto brutto.
    Ma come è noto l’uomo è una specie molto adattabile, e si abitua quasi a tutto.

    Molto tempo dopo, quando ormai convalescente lasciai l’ospedale ebbi solo un attimo, per stare solo con Lucia, di cui ormai ero segretamente innamorato, e lei ne profittò per dirmi:

    «Non dirmi che ti sembra strano, ma io devo ringraziarti, piccolo vecchietto mio!...»

    E mi venne subito da risponderle:

    «Si, lo so. Infatti io non sono morto per fare un piacere a te».

    Mi sembra che diventasse tutta rossa, ma non posso dirlo con certezza; sapete?... noi vecchietti ci commuoviamo e lacrimiamo facilmente!.




    Lucio Musto 29 ottobre 2009
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    certamente io sono di parte, come (quasi?) tutti, ma con Pecco sono più parte che con altri. Diciamo che sono di partissima.
    Infatti Pecco lo vedo come maestro, praticamente qualunque cosa scriva
    Praticamente e non teoricamente, perché teorica-mente una fregnaccia può scriverla anche lui...

    ma sarebbe un capolavoro di fregnaccia!
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    caruccio anche il cagnetto, ma tuo figlio giovinetto è meglio!
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    CITAZIONE
    CITAZIONE (Askar @ 15/11/2023, 21:20) 
    😅

    Anch'io ho trent'anni di esperienza personale, con schermi di ogni tipo (TV, PC fisso e portatile, cellulare), e da quando avevo cinque anni (ora ne ho quasi 35), tutti questi schermi che non sono cosiddetti e-reader non mi hanno mai fatto calare la vista. Ho ancora 10/10. E posso dirti che di videogiochi mi ci sono letteralmente sfasciato, ho giocato un quantitativo schifoso, spesso anche dieci ore al giorno per mesi e anni, perciò so perfettamente di cosa parlo e per questo dico che a me sembrano le solite puttanate (quando qualcuno usa la formula "secondo degli studi" di solito ti sta facendo una supercazzola).
    Quindi scusa se non ti credo sulla parola. :laugh:
    Stando così le cose, come minimo dev'essere una questione soggettiva che varia da individuo a individuo, e non ci può essere una verità univoca né da un lato, né dall'altro. 😅

    beh! se è per questo io sto davanti al computer (e ci sono rimasto ininterrottamente) da molto prima che i computer avessero gli schermi, in bianco e nero o a colori (solo da metà degli anni '70 in poi...)
    ed in fondo ci vedo ancora abbastanza bene. Ho solo gli occhiali da presbite tipico della mia età ma solo un +2.00

    Si, credo anch'io che sia soprattutto una questione personale...
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    La%20Signora





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    La Signora

    Abbastanza bene da poterla raccontare sembra l’abbia vista solo qualcuno.
    E sempre di notte. Di giorno la sua immagine deve davvero essere spaventosa e perciò si presenta senza farsi vedere.

    Con il suo corpo fatto d’ossa, sbiancate dalla Luna e calcinate al sole che sembrano star su legate col fil di ferro, scende sciancata giù dalla collina, involontariamente sciorinando i lembi del mantellaccio di panno buio che malamente la ricopre, e certo non la protegge dall’umido, né dal refolo freddo di tramontana.

    Avanza lentamente, sbilenca, ché lo spietato suo ferro le pesa grandemente sulle braccia esauste, traendone scricchiolii di sofferenza, gemiti di ossa asciutte e martoriate.
    Ma lei, non lamenta. Da un tempo infinito ormai non ha più pianto e la lingua secca s’è attaccata in gola.

    Un passo dopo l’altro, coi tempi del Tempo e l’urgenza di ogni giorno, ripercorre il prato infinito d’asfodeli, e il ferro spietato, la falce troppo lunga dalla lama d’argento troppo affilata le batte l’anca legnosa e si muove a scatti. e diresti a caso, mietendo insieme fiori appassiti e teneri germogli.

    La Signora va, perennemente, seguendo il suo cammino. Sola, infreddolita, maledetta.
    Dolorosamente taglia, e silenziosamente piange il suo destino.

    Qualcuno riesce a vederla, ed anche a raccontarla. E se ne vanta.

    Mucchietto d’ossa dal destino atroce, solitudine grande e malinconia…
    a me questa Signora, fa solo immensamente compassione!


    Lucio Musto 15 maggio 2009
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    io di toscano ho solo quattro anni di vita a Siena, a San Prospero, nel Drago, ed una lunga ma occasionale frequentazione della città per i 15 anni successivi.
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    mi sembra ragionevole, visto che è Domenica...
    Ma il limoncello non dovrebbe essere di Sorrento, per essere perfetto?

    (io veramente preferivo quello super-alcolico fatto da me... ma coi limoni del mio albero del mio giardino di Sorrento...)
    Ora che la casa di Sorrento me la sono venduta... bevo amaro Unicum
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    con la neve o con la pioggia il mio piede non appoggia
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    ieri sono stato a pranzo al ristorantino sulla spiaggia. Mare una tavola ed aria immobile. Era maggio inoltrato, ed il pesce fresco di giornata.

    Il tempo s'è stufato del calendario...
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    A 35 anni forse potresti cominciare a capire che perdere una persona cara, ma cara davvero, come accade che siano i figli, o i genitori, o il compagno di vita è cosa traumatica sempre.
    Perché quella persona che ti è cara, ma cara davvero, è come se fosse (non come se, proprio è) una parte di te, una delle tue membra, come un piede, un braccio, un occhio...

    Orbene, perdere un pezzo di sé fa male comunque, non conta quanto sia diventato inutile, sia malato, sia degenerato.

    Quindi niente scene madri, niente piagnistei... , è dolore vero, che forse a te non è ancora capitato di provare, ma che prima o poi assaggerai anche tu, perché è inevitabile.
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    me lo ricorderò!
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    Pare ormai dimostrato che nella specie umana in origine i parti gemellari erano la normalità.
    Ancora oggi, come allora, (pare dimostrato) che l'accoppiamento porti sempre a due embrioni, evolutivamente utilissimi perché raddoppiano le speranze di sopravvivenza della specie, con un limitato surplus di consumo di energia.
    Ma man mano (Natura geniale!) che la specie umana si faceva più salda e numerosa va a prevalere, sull'esigenza di avere molti discendenti, la tendenza a concentrare le energie su un minor numero di individui che così possono crescere più grandi e robusti. E le gestazioni divengono singole: il più piccolo dei gemelli viene fagocitato e riassorbito non appena l'innesto degli embrioni nell'utero è sufficientemente sicuro
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    Il gemello piccolo.

    Io sono il gemello piccolo; me ne sto attaccato a lui nella nostra piccola casa, e ci scambiamo tutto, sangue, sentimenti pensieri... nella nostra piccola casa che chiamiamo felicità; fra di noi, perché non sappiamo ancora come si chiami davvero.

    Siamo nati insieme all’inizio della Vita, nello stesso “atto d’amore” di mamma.
    Non sappiamo cosa sia un atto d’amore e non sappiamo cosa sia mamma, naturalmente, ma sappiamo che c’è, ed è una cosa buona. Del “prima della Vita” non abbiamo che ricordi smozzicati, incoerenti, ed abbiamo deciso di abbandonarli. A noi basta stare vicini, abbracciati pieni l’uno della presenza dell’altro. Un poco ci scambiamo l’anima e molto dormiamo. Io più di lui, e quando mi sveglio lo trovo sempre a mangiare. Forse è così nella natura dei gemelli, ed io sono il gemello piccolo.

    Devo aver dormito più a lungo del solito, stavolta, perché il mio gemello è diventato grandissimo, molto più di quanto lo ricordassi, e mangia con una furia frenetica, lasciando pochissimo per me, che quasi mi è insufficiente e mi indebolisco... oh! intendiamoci, sono cresciuto anch’io, noi mangiamo sempre, anche mentre dormiamo, ma lui mangia con una foga che io non ho, io ho poca fame, e divento sempre più piccolo, al suo confronto.
    Ho di nuovo sonno e voglio riposare, prima di addormentarmi, oziosamente penso: « chissà se mamma lo sa che siamo in due?... ».

    Ho dormito di nuovo tantissimo, ma mi sento lo stesso assai stanco e debole. Il mio gemello invece è fortissimo, è diventato enorme, mostruoso ai miei occhi, e non mi lascia niente da mangiare. Non mi lamento, certo, fra gemelli non usa, ma ho un senso di vergogna a parlare del mio malessere. Sono passati i tempi di quando ci sentivamo una cosa sola e facevamo tutto insieme... Ora sappiamo di essere due persone. Gemelli, sì, ma due.

    Non credo che ce la farò. A dormire mi riesce ancora, ed è un torpore greve, un sonno malato, ma di mangiare non me la sento proprio...
    Il mio gemello è diventato immenso, che nemmeno riesco più a vederlo tutt’intero e continua a mangiare con avidità tutto quello che arriva, ed ora anzi, sta consumando anche me. La sua fame inarrestabile è spietata, mi riassorbe poco alla volta, togliendomi liquidi e forza, ed io mi sto raggrinzendo mentre lui esplode di vita. Credo che mi succhierà completamente e sarò parte del suo corpaccio roseo, mentre di me non resterà che un neo brunastro, o una crosticina destinata a cadere presto.
    Un poco mi dispiace. In fondo, seppure quello piccolo, ero un gemello anch’io come lui...
    Non so se provo astio, in fondo sono praticamente morto e lui è il mio gemello che mi ha assorbito, ed io sono parte di lui.

    Ma non mi danno piacere le “voci di fuori” che stanno dicendo che mamma ha deciso di abortire...



    Lucio Musto 8 gennaio 2017
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    e mi pare giusto!,,, tutti i gialli insieme, tutti i noir insieme, Delly e gli altri rosa da un'altra parte...
    tutti gli scritti degli inchiostrini in un unico buzzo... ;) :woot: :woot: :woot:
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    f105_-_Shambhala



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    Shambhala



    so di aver incontrato Shambhala nel deserto senza nome, dove le piste esistono solo per gli iniziati che hanno attinto alla Fonte delle Fonti.
    Per voi comuni mortali le piste non sono che dune di sabbia, erranti come sono le dune di sabbia, e morte.

    Shambhala s'innamorò di me, per un attimo, e della mia devozione senza limiti.
    Le piacque che io la guardassi negli occhi, in quell'attimo, ed umile abbassassi lo sguardo.
    Le piacque la mia devozione e che io non chiedessi perché, adorandola in silenzio.
    Ma poi dubitai, e lei se ne accorse, Shambala che tutto vede; la felicità che lei dona, io non sapevo apprezzarla.

    Mi tolse il suo amore, ritraendosi pudica, vergognosa di me, sentendosi lordata.
    Ed ogni atomo liquido del mio corpo, ogni linfa, seguì il suo ritrarsi, e fu nebbia, nel deserto, ed io fui punito.
    Di me non resta che una duna di arida sabbia, nel deserto senza nome, che continua il suo errare senza fine alla ricerca del bene perduto e che non tornerà.

    Ho incontrato la Fonte delle Fonti, e non ho saputo attingere: la mia fede era scarsa.
    Le piste del deserto senza nome esistono, ma solo per gli iniziati rimasti fedeli.
    Tutti noi, tutti gli altri, non siamo che dune di sabbia.

    Erranti, se morti alla speranza.


    Lucio Musto 14 maggio 2015
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    grazie Flegias (complimenti per il tuo nuovo avatar) delle tue parole.

    Ovviamente dopo tanti anni (13... una vita!) non ricordo assolutamente chi provocò
    l'emozione che mi fece genere queste parole, ma si, mi ci ritrovo benissimo anche ora:
    è quella la mia tensione, il mio desiderio e la speranza.
    Donarmi perché qualcuno possa sorridere. Il sorriso è la moneta più bella e ricca
    che sia mai stata inventata! Un vero dono divino fatto all'uomo, ed a nessun altro animale.
1721 replies since 2/10/2010
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