Inchiostro diVerso - Forum di scrittori e arte

Posts written by Lucio Musto

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    povera piccola dolcissima indifesa amica mia!!!!

    Me lo dicevi e venivi da me!...

    Stasera ci siamo "arrangiati" con una zuppa alla diavola di mazzancolle giganti argentine (surgelate) alla diavola, "acconciate" da me con olive bianche e scaglie di mandorla!
    Mi son venute davvero, ma davvero, ma davvero niente male!!!
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    Non so se davvero sono sagge. Da qualche anno, sto "arricchendo" la bancarella della COOP
    del "Libero scambio libri" di tanti volumi, collane e raccolte, che, acquistate nuove, non sono mai state
    aperte.

    E nel donare non provo nessun sentimento se non gratitudine per l'ingombro che mi si leva da casa.

    Ma forse solo perché sono vecchio e mi sono convinto che quei libri... ormai non li leggerò più!
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    Ed allora scaricati gratis quelli che puoi leggere e difendi le tue sostanze, no? Mica diventi migliore se hai libri a prender polvere sugli scaffali di casa!
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    provaci, che ti costa?
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    non so, non credo, e non ho capito, io volevo rispondere al messaggio n.405 di Dangel che si rammaricava di non saper tutto di tutti...
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    non si può sapere tutto se non si è Dio.
    Ma forse questa è anche una cosa buona...
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    Dopocena con applauso

    Ce ne siamo andati, mia moglie ed io, a “provare” il rinomato ristorante “di nicchia” su nel paesetto in collina. Siamo curiosi da sempre, ed ora quest’uso è anche di moda.

    Locale piccolo, curatissimo, grazioso, un buon connubio di rustico ed elegante.
    Personale cortese, ottima cucina tradizionale con un pizzico di originalità, servizio perfetto.

    Esperienza notevole, anche perché ci sono gli ammennicoli piacevoli.
    Forse perché è già tardi e siamo rimasti in pochi clienti, forse perché siamo i più anziani della serata e certamente “forestieri”, forse perché qui usa così, ma a servirci il caffè è il padrone stesso del locale che ci intrattiene in amabili conversari, ci offre alcuni bicchierini “speciali” che consuma con noi, ci narra gustosi fattarelli locali, forse inventati ad hoc, ma credibili, forse chissà perché… certo che usciamo dal locale abbastanza tardino, leggeri nello spirito e nemmeno troppo disturbati dal costo della cena, a mio parere decisamente esagerato.
    Ma si sa: io m’incazzo a mangiar male, sul conto so essere compiacente e non lagno.

    Pochi passi fuori del locale ed un qualcosa sul selciato attira la mia attenzione: banconote da 20 euro piegate fra loro, esattamente la metà di quanto abbiamo pagato al ristorante, mancia compresa.

    Non c’è nessuno intorno e questo “dono” improvviso mi mette subito in allarme.
    Certo io non credo ad un “contributo celeste” per le mie finanze, ma ai campanelli d’allarme si, ci sto attento, e mi si drizzano le orecchie.
    Pochi passi ancora per le deserte stradine del paese, verso il parcheggio, ed avvertiamo un allegro vociare proveniente da una delle traverse, quella che porta alle mura del “Castello”
    I ragazzi del paese si sono riuniti al solito muretto e fanno chiasso fra loro.

    Forse è qualcuno di loro che ha perso i soldi che abbiamo trovato!... andiamo solleciti a raggiungerli:

    “Scusate, ragazzi… abbiamo trovato dei soldi, per strada, e ci siamo chiesti se per caso qualcuno di voi li abbia persi…”

    “io!, io!, io!...” l’ovvio coro spontaneo esplode immediato, ed è naturale: fossi stato dalla loro parte, li in mezzo ci sarebbe anche la mia voce.

    “Bene! Sono contento che nessuno di voi debba rimetterci! Ma non è possibile che siate stati in tanti, a perderli! – Comunque non conta: io sono pronto a pagare il doppio a chi mi dice di quant’era la somma e quali strade ha fatto per venire qui… e naturalmente pago se le risposte sono esatte e compatibili col posto dove abbiamo trovato i soldi.”

    L’imbarazzo si fa subito palpabile e c’è qualche attimo di assoluto silenzio. Poi, quello che appare il capopopolo:

    “Ovviamente nessuno di noi ha perso quei soldi…”

    “Allora, visto che son soldi di questo paese e non miei…”

    Non mi lasciano finire; il più sveglio del gruppo salta su:

    “Allora ce ne andiamo tutti al bar e beviamo alla salute di voi nonni!”

    “E nemmeno sarebbe equo! Perché vedete: qualcuno ha faticato per guadagnarseli, anche se poi li ha persi, io ho avuto la fortuna di trovarli ed ho fatto la fatica di portarveli… voi non avete fatto nulla, e vorreste berveli! – Non sarebbe giusto!, che ne dite?...”

    Ora i ragazzi del paese sono zitti ed attenti, intuiscono che da qualche parte li voglio portare:

    “… Allora visto che sono soldi di questo paese e sono in mano mia, io adesso vado a portarli al vostro convento di Clarisse come elemosina, poiché quelle suorine vivono solo di carità, e l’elemosina la faccio a nome vostro che siete i figli del paese! Siete d’accordo?”

    I bravi ragazzi del paese in collina esplodono in un applauso in onor nostro che ci appare sincero.

    Ed alla fine una ragazzina, la più dolce del gruppo:

    “Si!, però l’elemosina anche a nome di voi nonni… per essere equi!”

    Certe volte, a noi vecchi, scappa la lacrimuccia!


    Lucio Musto 13 marzo 2024
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    a me è venuto di desiderare di poter essere un nonno così, meritevole di certi pensieri anche dopo morto.
    Perché io alla morte non credo come fine, ma solo come trasformazione del corpo, la nostra exuvia che lasciamo a disfarsi in Terra.
    Mi piacerebbe diventare un nonno così perché per me significherebbe aver costruito in vita le basi di un amore serio e duraturo, che è quel che conta.
    Io ci provo, in piena coscienza ed impegno, ci provo sempre, in ogni attimo che posso, ma non so se ci riesco, almeno qualche volta.

    Fulci, quando la prossima volta ti collegherai all'amore di tuo nonno diglielo: "c'è quaggiù un vecchietto che ti considera fortunato, e ti applaude.
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    fate voi, io ho solo lanciato l'idea!... :old:
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    MESSAGGIO DI SERVIZIO


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    Noto, a più riprese, che questo o quello dei nostri autori lamentano "crisi di ispirazione", "crampo dello scrittore", "anchilosi creativa" o cose del genere.
    Ci sta. Ne hanno avuti tutti, ne abbiamo tutti dei periodi di rigetto anche verso una nostra attività usuale e magari piacevole.
    Poi passa e si torna normali.

    Ma come curativo (o forse solo palliativo) del buco nell'ispirazione tempo fa, in un altro forum ci inventammo una sezione: "Raccontiamoci i racconti" dove l'autore in crisi si sforzava (nei limiti della brevità richiesta negli interventi, di riassumere una storia nota, scritta da un altro, che particolarmente l'aveva colpito, interpretandola liberamente.

    Questo esercizio (ci si auspicava) avrebbe stimolato la creatività pigra proprio come un "Confetto Falqui" fa con l'apparato digerente.

    Riporto un brano, con esempio, di quella proposta

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    ... ... ... senza timore di plagio, ché gli scrittori sono contenti che si parli di loro, si può cominciare dicendo quello, con semplicità, senza fini artistici o letterari, ma solo con la voglia di raccontare in due parole un fatto che ci ha colpito… e senza pretesa di rubarne la paternità!

    Voglio fare un esempio, Io potrei scrivere press’a poco così:

    «… allora vi racconto di un libro che lessi tempo fa, ma manco mi ricordo di chi fosse.

    « Era la storia di due pestiferi fidanzatini di Como, particolarmente bravi a sgraffignare la batef (la “lucia”) del Curato, troppo pavido e bonaccione per protestare, ed andarsene a zonzo sul lago al tramonto quando le montagne diventano scure e non se ne vede che il profilo, a forma di sega, e perciò qui in dialetto chiamato “El resegòn”.
    « Ma un brutto giorno, due cattivi extracomunitari adocchiarono la coppietta e, da turpi monatti quali erano pensarono di approfittare della situazione e fare uno stupretto lacustre.
    « Ma poi, siccome turpi e monatti lo erano si, ma fessi per niente, ragionarono che era più redditizio se la schifezza l’avessero fatta fare al loro padrino, che da quelle parti si chiama “Signore” anche se signore non lo è per niente.
    « Insomma il capobanda della situazione che mai si può nemmeno nominare…

    « Così comincia la storia che volevo raccontarvi, che poi manco finii di leggere perché mi sembrò proprio uguale a tutte le storie dei politici di oggi che di diverso hanno solo i nomi, ma è proprio così… o almeno quasi, perché invece di stare solo a Como stanno a Roma ed in tutta l’Italia…
    «Solo che questa finì bene ed in allegria con una bella pestilenza come ci vorrebbe anche qui. E mi dispiace solo che ci morì la povera Cecilia, che poi hanno fatta santa e le hanno costruito il conservatorio di musica dove canta la Bartoli… che mi pare però che sia una Cecilia differente...»

    Che ve ne pare, amici scrittori della domenica, ci lanciamo nell’avventura?

    Lucio Musto 1 marzo 2009
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    io avrei un problemino da risolvere... la vecchiaia. Ma a parte quello, disponete pure i me! :genu: :iiih:
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    CITAZIONE (Luke.Lucky @ 11/3/2024, 11:03) 
    Qualcuno si ricorda i treni degli anni '70?
    Quando ero in servizio militare da Conegliano a Udine e fino alla stazione di Tolmezzo ci metteva più di un'ora e mezza...
    Altro che cuscini... ,;)

    vuoi scherzare?
    Siena - Chiusi oltre due ore! (anni '50) a vapore, o con la littorina, se ti andava bene!
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    metto qui queste due paginette, molto indeciso se sia la sezione giusta o meno - Ovviamente chiedo alla cortesia degli Amministratori di spostarle
    nella sezione giusta, o semplicemente depennarlo, se non probante - grazie
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    Mi fa pensare

    Il fatto che vi voglio raccontare non me lo ricordo bene… l’ho letto tanto tempo fa!
    Non ricordo nemmeno se fosse un racconto o un romanzo… o forse una novella.
    Non ne ricordo il titolo né l’autore, ma non credo che gli importi; ormai sarà morto e si contenterà ch’io lo citi pubblicamente e non mi appropri della sua ispirazione.
    Perché era una di quelle cose che fanno pensare, ed io ci penso spesso; forse dovreste farlo anche voi!...

    La storia di fantascienza parlava (press’a poco) di un vascello spaziale che tornava a visitare un pianeta scoperto molti anni prima. Un pianeta interessante, come ce ne sono innumerevoli, nella galassia, di classe O-C-H, cioè a dire dove l’equilibrio Ossigeno-Carbonio-Idrogeno è favorevole alla vita di tipo terrestre.

    Un pianeta abitabile per l’uomo, insomma, ed effettivamente abitato da moltissime razze vegetali ed animali fra cui una, di aspetto quasi umanoide, mentalmente evoluta, ma con strane bizzarrie.

    In effetti questi aborigeni (il nome scelto dall’autore non lo ricordo, ma qui li chiamerò Kroll) avevano la strana caratteristica di mostrare una “involuzione intellettiva” assolutamente singolare ed unica in tutti i pianeti conosciuti abitati da esseri senzienti.

    In pratica si registrava che i Kroll neonati presentavano un’intelligenza vivace, ricettiva ed assai ben equilibrata, ed infatti in brevissimo tempo acquisivano ogni abilità ed utile conoscenza per vivere al meglio nel loro mondo, ma ben presto, ancor prima di giungere alla pubertà, subivano un lento ma inesorabile processo di declino mentale, una involuzione progressiva perniciosa che li portava ad essere degli ottusi prima, dei deficienti poi ed infine degli idioti totali.

    Poco dopo l’età della riproduzione, quando ancora fisicamente potevano definirsi forti e prestanti, i Kroll concludevano miseramente la loro esistenza per incidenti banali, come il non rilevare la pericolosità di un burrone o l’aver dimenticato l’arte del nuoto o semplicemente… il non riuscire più a mangiare!...

    All’epoca della prima esplorazione, tiene a farci sapere l’Autore, non era stato possibile fare indagini approfondite sulla strana anomalia del Kroll perché (lo sapete anche voi!...) il compito degli esploratori è trovare pianeti di classe O-C-H, e trovarne il maggior numero possibile, non di fare discettazioni accademiche e filosofiche!... Ed il pianeta dei Kroll era perfetto, per le esigenze espansionistiche dell’uomo!...

    Tuttavia, secondo Protocollo-Regolamentare erano stati prelevati gli opportuni campioni viventi dal pianeta per poter essere in seguito opportunamente studiati. E fra questi, naturalmente, un cucciolo di Kroll.
    Ma poi, era successo qualcosa di imprevisto… con conseguenze alquanto irregolari.

    Il piccolo di Kroll, nel lungo periodo di quarantena comprendente l’esplorazione di altri sistemi planetari ed il ritorno sulla Terra era cresciuto… ma senza rincretinirsi!... Diventando anzi un abile meccanico con eccezionale intuizione negli innumerevoli piccoli malfunzionamenti che rendono la navigazione spaziale così fastidiosa e talvolta pericolosa.
    Un soggetto prezioso per il vascello, e quindi mai fu consegnato alle autorità come “esemplare alieno di studio”. Membro effettivo ed “economico” dell’equipaggio, ora viaggiava nel vascello per tornare al suo mondo natio e scoprire con i suoi amici umani il perché del suo splendido intelletto e del rincitrullimento precoce dei suoi simili.

    L’intuizione letteraria si delinea bene già a questo punto e la conclusione si intuisce. L’autore stesso non si spreca molto ad arrivare a conclusione. Il più è stato detto, la metafora delineata.

    Per la cronaca, è lo stesso medico di bordo, eccelso quanto può esserlo quello di una semplice unità di esplorazione, a dipanare il mistero e trovare i rimedi.

    Un parassita che si annida nei giacigli, noto, ma considerato ospite innocuo ed anzi simbionte gradito perché distrugge zecche ed altri ospiti sgraditi, si nutre anche della materia celebrale dei Kroll addormentati provocandone il lento degrado intellettuale, fino alla morte precoce.
    Il rimedio, banale, rinnovare spesso i giacigli e tenerli puliti dall’ospite fin ora considerato amico provvido e previdente.

    Questo, il gustoso racconto che ricordo scritto in modo assai gradevole e scorrevole.
    Poi, non rimane che il pensiero che ti fa pensare, gli accostamenti, le similitudini…

    Ogni volta che sento citare gli Italiani come “Italioti” sintesi Fra Italiani ed idioti ripenso ai Kroll, ai simbionti malefici che ci costringono a considerare la loro utilità, la loro provvidenza nei nostri confronti, la loro premura…
    Mentre, di destra di centro o di sinistra che siano, lentamente ci rodono cervello e coscienza, ci tolgono la capacità di ragionare con la nostra testa, di agire di nostra iniziativa…

    Eppure, ci vorrebbe tanto poco!... un piccolo viaggetto nell’aria pura dello spazio interstellare, o molto più semplicemente, più banalmente, un casereccio giro di “pulizie di Pasqua”, col rinnovo dei giacigli su cui pigramente ci crogioliamo, ed una sgrullatina al sole delle usuali coltri!


    Lucio Musto 29 aprile 2009
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    letto
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    Ho sognato – 27 –
    Una zoccola speciale



    Oggi mi è toccato ripetere il refrain che spesse volte “mi sparo” nelle mie discussioni:
    “fra le poche zoccole che ho conosciute, ce ne erano parecchie più degne di ammirazione e rispetto delle altre, molte, gentildonne che hanno incrociato la mia vita”.

    Fra le tante, nella mia mente segreta mentre propalo il mio refrain, penso a te, antica cara amica di cui non ricordo più il nome, che tanti anni fa prostituivi il tuo corpo ormai sfatto alle spalle del prestigioso ospedale Cardarelli, nella tarda sera e nella notte, quando l’ombra è più scura ed i baldanzosi “conquistatori” hanno già appagato le loro voglie, o si sono già accordati per la sera con altre prede mercenarie, certo più giovani ed appetibili di te…

    Tu no: aspettavi umile nell’ombra gli ultimi disadattati, i disperati, i disillusi dall’esistere, noi, i più miserevoli scarti della vita; noi che avevamo tutto in proporzione al tuo tramonto di cortigiana mancata e che di quel tutto non avevamo che farcene, sitibondi solo di un sorriso, di una parola comprensiva, di un bacio pietoso donato a fior di labbra per umana comprensione; non certo per accrescere il comunque dovuto compenso per la prestazione.
    Spiccioli, in fondo, per noi – unica fonte di reddito e sopravvivenza per te, amica mia dolcissima! per te ormai estromessa dal mondo al quale avevi osato chiedere, e generosamente desti, ma che nulla seppe fare se non rapinarti della tua giovinezza, ed abbandonarti all’indigenza più squallida: quella che ti strappa via anche la dignità del tuo corpo!

    Mi ricordo bene della notte in cui ti conobbi. Avrebbe dovuto essere una delle tante notti disperate della mia atroce giovinezza, ed invece divenne un’ora di impagabile dolcezza; lo riconosco: una delle più vuote, ma certo fra le più serene della mia amara esistenza.
    Una volta di più estromesso dal talamo nuziale, a Sorrento, dov’ero andato con entusiasmo per incontrare la Sposa ancora giovinetta, mi ero rifugiato nell’alcool, mio unico scampo di quei tempi amari e poi, “sbronzo a puntino” come dicevo io, mesto ritorno a casa, la grande villa conquistata finalmente, ma già ormai vuota di speranze e di futuro…

    Forse sbagliai strada o forse, più probabilmente, la voglia di rinchiudermi nel mio castello fasullo era poca e vagavo senza meta per la grande città… e notai te, seduta sola su quel muretto che poi mi dicesti essere la tua “postazione” in quella strada deserta, dietro il prestigioso nosocomio, il più grande del sud, gonfio di infiniti casi di dolore fisico, nelle sue stanze, dentro, e corredato di alcuni dolori spirituali a cornice, nei viali intorno: il dolore del tuo inevitabile, incipiente epilogo di una fallita vita da puttana, ed il mio, prodromo di un cammino ancora lunghissimo davanti, spaventosamente interminabile di umiliazioni, frustrazioni, accettazioni, compromessi…

    Mi inquadrasti subito, come scesi dalla macchina per venirti incontro e mi abbracciasti, come una tenera madre sa fare con il suo figlio sofferente.
    Non ci fu bisogno di dirti nulla, all’inizio, tu nulla mi chiedesti ma tutto intuisti: il tuo cuore di donna mi aveva già accolto per quello che ero, senza chiedersi affatto cosa io fossi in realtà.
    Per le confidenze ci sarebbe stato tempo, dopo, e per carezzarmi l’anima.
    Per consolarmi dei miei dolori: quelli che mai avrei saputo spiegarti, e che non avresti capito.
    A te bastava la mia sofferenza, e mi amavi per quello.

    Quella notte, in macchina, mi facesti l’amore, com’era il tuo mestiere, come usano i ladri di sesso; ma per me fu un paradiso, perché quell’unico furibondo assalto fu solo il coronamento di una carezza senza tempo: quella fra due anime neglette che si cercano senza saper perché: vogliono solo conforto. Da ricevere, da dare.

    Tu mi insegnasti, senza parlarne quella sensazione. L’ho provata altre volte, nella mia vita, ma tu mi mostrasti col tuo esempio come riconoscerla, ed apprezzarla.
    O forse, tu che conoscevi la vita, provavi pietà per me.

    Ti trovai altre volte, non moltissime purtroppo, e sempre mi riconoscevi, mi ascoltavi con garbo, mi accarezzavi lievemente l’anima, mostravi di schernirti quando ti davo molto più della tua “tariffa”, ma poi accettavi con un sorriso: sapevi che a me non pesava quell’obolo. Certo più il gesto “di pagarti” che la piccola cifra. Ma anche tu dovevi vivere, e ci tenevi, alla tua dignità.

    Una notte ti portai a casa mia, ma quella notte no, non facemmo all’amore.
    Ti preparai qualcosa per cena, e mangiammo in cucina, sulla penisola della colazione. D’un tratto si aprì la porta, erano forse le tre, o le quattro, ed entrò Alfonso, l’amico mio di allora.
    La mia casa non era mai chiusa allora ed anche lui, sentendosi solo, si era venuto a rifugiare in quella specie di castello incantato di tutti, che era casa mia. Ma non volle restare. Bevve un bicchiere di vino con noi, chiese se eri contenta che a casa ti ci riaccompagnasse lui… ed andò via subito: non c’era nulla da spiegare.
    Noi restammo a chiacchierare sfiorandoci l’anima e poi, che già albeggiava, ti riportai in città, per poi andare direttamente in ufficio. Ci arrivai molto presto, quella mattina, ma il turno di notte non se ne stupì: i miei orari erano sempre strambi, e poi, quella mattina, ero particolarmente sereno e d’aspetto riposato.

    Potrei dire qualche altra cosa di te, che ancora ricordo, ma certo è superfluo.
    Non mi sono mai innamorato di te, certamente, ma tu, eri una zoccola davvero speciale, per me.

    Ora, sono passati più di cinquant’anni, ed ancora mi viene di diti grazie!
    Ciao, amica mia, anziana zoccola di tanti anni fa! Adesso io sono assai più vecchio di come tu apparivi allora, ed ancora ho nostalgia della tua dolcezza! Dove sei?

    Mi piacerebbe incontrarti ancora, ed accoglierti fra le mie braccia comprensive con la dedizione che tu offristi a me, tanto tempo fa.
    Io ora l’ho capito cosa significhi amare il dolore dell’altro come frammento di quel dolore universale di cui si ha maggior esperienza.

    Me lo hai insegnato tu, ed io non lo dimentico.

    Lucio Musto 7 agosto 2023
4749 replies since 2/10/2010
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