Inchiostro diVerso - Forum di scrittori e arte

Votes given by Miss Loryn

  1. .
    Refuso del turno in anonimato... Scusate, correggo subito.
  2. .

    Rompo io il ghiaccio e voto j.darkblue, sia per la forma corretta e scorrevole che per essere il racconto "prettamente" gastronomico rispetto agli altri. Gioia ha delicatezza e cura nella scrittura, coinvolge e soprattutto la sua scrittura diverte.
    Miss ha giocato sull'eros-ironia, Pecco sull'ironia, io e Askar sul fantasy invece. Tutti racconti con elementi gastronomici. Ma quello di j.darkblue è gastro al 110%!!! :)

  3. .
    Uno strillo spaventoso interrompe bruscamente le mie riflessioni letterarie e pseudo esistenziali del dopo cena inoltrato.
    - Cosa c'è? - chiedo accorrendo in cucina visibilmente spaventata.
    - È finito il pane! In congelatore non ne abbiamo più, - mi annuncia mio padre con sgomento. - Domani i supermercati saranno chiusi a causa delle festività, - mi fa presente.
    Fra tutte le mancanze di cibarie questa è certo la peggiore. Il pane è la base del nutrimento; è ciò che, a tavola, non deve mancare perché rende un pasto tale. Il pranzo e la cena iniziano e finiscono con il pane a disposizione dei commensali.
    - Come faremo?
    - Cuoceremo la pasta o il riso. Sono pur sempre carboidrati, - propongo.
    - Non scherzare.
    "Certo, col pane non si scherza. Esso è depositario di tutta la saggezza degli antenati. Se il suo prezzo è basso è indice di benessere; se il prezzo aumenta si profilano tempi duri all'orizzonte; non va sprecato ma non va centellinato, specialmente con gli ospiti."
    - Non c'è soluzione.
    - Se vuoi lo preparerò io.
    - Cosa? Hai dimenticato che quando hai provato a fare una pagnottella, è venuto fuori un macigno?
    - Allora non avevo seguito il procedimento corretto. Ma non accadrà di nuovo. Stai tranquillo. - Lascia perdere, non mi sembra il caso.
    - Filerà tutto liscio. Domani, per l'ora di pranzo, sarà pronto.
    - Mah... D'accordo, ti lascio libera la cucina. Male che vada cuoceremo gli spaghetti.

    Prima di trasformarmi nella regina della panificazione casalinga, vado a lavarmi le mani. Credo che neanche un chirurgo, sul punto di entrare in sala operatoria, sarebbe più scrupoloso di me nello strofinarsi ogni millimetro di pelle.
    In un bicchiere, riempito d'acqua tiepida, verso una bustina intera di granuli di lievito disidratato. Essendo un impasto a lunga lievitazione, mezza dose (5 grammi) sarebbe più che sufficiente; ma io, distratta dal comprovare la giusta temperatura dell'acqua, non faccio attenzione alle proporzioni e così metto qualcosa in più. D'altra parte, memore del motto latino melius abundare quam deficere, reputo sia meglio arrotondare per eccesso piuttosto che per difetto.
    Gli imprevisti capitano, soprattutto quando siamo dei neofiti; ed io è la prima volta che uso il lievito disidratato. Fino a un minuto prima non avevo idea che i granuli dovessero essere risvegliati e nutriti. Un'altra complicazione.
    "È colpa tua", mi dico. "Chi lascia la strada vecchia per la nuova non sa quello che trova".
    Ho appena scoperto che, per non finire agonizzante, non basta mescolare il lievito in un composto omogeneo con un liquido poco riscaldato. Giacché invece del cubetto fresco (che si ammuffisce puntualmente in frigorifero prima che riesca a consumarlo per intero) ho preferito la forma simil-sabbia, ossia a lunghissima conservazione, è obbligatorio passare, innanzi tutto, per il processo di "fine ibernazione" con ingrasso. Le istruzioni, riportate sul retro della confezione, sono telegrafiche ma chiare: aggiungere al liquido un cucchiaino di zucchero e aspettare dieci minuti. Una cosa da niente, insomma.
    Ma cosa mi assicurerà la rianimazione dei granuli andrà a buon fine?
    Nel dubbio, che mi fa sudare freddo, ricorro alla soluzione collaudata da secoli: meglio più che meno. Metto doppia quantità di zucchero; e poiché non c'è due senza tre - saggezza antica anche questa, no? - aumento a venti minuti il tempo che concedo al liquido marrone, per risvegliarsi, saltare giù dal letto e mettersi al lavoro.
    Aspetto e aspetto...
    Ecco, le lancette dell'orologio sono giunte al traguardo. Entro nel vivo della preparazione.

    Sono le dieci di sera e un chilo di farina tipo 0 si riversa nella ciotola come una nevicata improvvisa fuori stagione, seguita da una pioggia primaverile (650 millilitri d'acqua tiepida). Inizio a impostare con energia usando una forchetta.
    Non aggiungo sale perché in Toscana mangiamo il pane sciapo (o senza sale che dir si voglia); se si vuole è questo il momento buttarne una presa. A me non piace Le mie papille gustative sono assuefatte all'insapidità della tradizione.
    Appena l'amalgama di farina e acqua si indurisce, proseguo a impastare con le mani e olio di gomito. Assesto colpi a ripetizione con i pugni chiusi. Questo movimento è molto rilassante. Scarico ogni traccia di rabbia repressa, anche quella che non sapevo di avere. Dopo mezz'ora di esercizio ginnico, dalla ciotola si stacca una palla elastica, liscia e dal profumo gradevole.
    La copro con un canovaccio sistemandola nel forno acceso con la luce per mantenerla al caldo. Mezz'ora dopo la ritiro fuori e inizio a fare il primo giro di pieghe.
    Questa strana operazione, che va ripetuta almeno tre volte a distanza di un venti minuti l'una dall'altra, serve per creare la caratteristica alveolatura, quella che si vede quando si taglia il pane a fette. Senza tale lavoro, il risultato finale, una volta uscito dal forno, risulterebbe duro e pesante da digerire.
    Con una mano bagnata afferro l'impasto dall'esterno e lo spingo verso il centro, procedendo così per tutto il cerchio; tutto va di nuovo dentro il forno con la luce accesa, a lievitare.
    Secondo giro di pieghe: come sopra.
    Di nuovo al caldo.
    Terzo giro di pieghe: stendo l'impasto con le mani poi lo ripiego come un foglio per essere riposto in una busta. Melius abundare quam deficere:ripeto per quattro volte.
    È mezzanotte e mezza. Sto morendo dal sonno; ormai non mi importa un'acca se qualcosa andrà storto. Voglio soltanto andare a dormire. Con gli occhi semi chiusi, formo una palla liscia e poi la rinchiudo in frigorifero. Mi appare un controsenso eppure è così. Dopo un ambiente caldo ne serve uno freddo. Ciò ridurrà la velocità di lievitazione permettendo alla farina di diventare soffice e digeribile.
    Quanto tempo ci è voluto.... e fosse finita!
    Invece siamo soltanto a metà strada.
    " Se mi trattengo in cucina ancora cinque minuti - penso io raggiunta da una sequenza di sbadigli - getto tutto fuori dalla finestra! "
    Perciò abbandono l'impasto al suo destino, fausto o infausto che sia.

    Dopo dodici ore in frigorifero la mia palla di acqua e farina è talmente cresciuta che esce dalla ciotola. I granuli, durante la notte, non soltanto si sono svegliati a dovere, ma hanno addirittura gozzovigliato.
    Lavoro l'impaso per un po' sulla spianatoia, facendo un ulteriore giro di pieghe; poi ne ricavo due filoni allungati con l'aiuto della farina rimacinata. Pratico su entrambi dei tagli orizzontali; infine li adagio, ben distanziati, sopra una larga teglia che ho rivestito di carta da forno. Accendo il forno, modalità statica, 190 gradi. Aspetto che arrivi a temperatura.
    Il forno è pronto; la teglia è posizionata.
    Dopo dieci minuti i due filoni sono cresciuti a vista d'occhio e dopo altri quindici un profumo meraviglioso ha invaso la cucina.

    La cottura durerebbe complessivamente trenta minuti. Io però ne aggiungo altri cinque. <i>Melius abundare...<i> Beh, tanto per essere coerenti.
    La crosta, ottenuta dalla farina rimacinata, è giallo oro; così come l'olio d'oliva extravergine che verso sulla prima fetta per assaggiarla, rigorosamente a pranzo.
    È il tempo l'elemento principale di questa ricetta. Tempo buttato via o ben impiegato? Dipende dai punti di vista. Il pane è simbolo di vita, in fin dei conti. La mia pazienza però è stata messa a dura prova.
    - È un pane morbido e buono, - si complimenta mio padre dopo averne verificato il sapore. Ne ha appena addentata un'altra mezza fetta.
    - Quale ricetta hai seguito? - mi domanda mia madre mangiando con gusto ciò che ho preso per lei dal tagliere. Lei mi ha lasciato pasticciare in cucina senza sollevare obiezioni, ma non so quanta fiducia riponesse nel risultato.
    - Quella trovata in uno dei miei libri di latino, - rispondo.
  4. .

    Estratto dal mio romanzo fantasy "Il destino degli Elfi", e modificato per il turno.




    Festa a Nuova Gavrillach

    Un leggero soffio di vento rinfresca i pensieri di Aranel e alleggerisce il loro carico. Non ha nessuna voglia di tornare indietro. Ma alla fine trova la forza per affrontare la situazione, così dopo ore trascorse a meditare decide di tornare sui suoi passi prima del tramonto.
    Nuova Gavrillach è imbandita a festa; ci sono fiaccole ai lati che faranno brillare la notte e l’odore del fuoco è vigoroso.
    I non-morti vedendola giungere la salutano con ossequiosi inchini, la fanno sentire preziosa e importante. Lei risponde con un cenno del capo.
    «Tutto questo è in mio onore?»
    La piazza grande è piena di gente e colori, sfumature di una vita che chiede a gran voce di essere vissuta fino in fondo.
    «Ti piace?» Erodhir stavolta è lì con la mano tesa verso di lei. «Vieni, ti ho cercato dappertutto; ma dove ti eri cacciata?»
    Aranel si lascia trasportare dal suo impeto, finché si ritrova catapultata in mezzo ai festeggiamenti. Le gira la testa, è confusa. Si siede silenziosa su uno dei posti liberi intorno al bancone delle vivande: una panca senza schienale piuttosto scomoda, ma comunque utile al suo scopo.
    «Mangia sorella!» Araton è di nuovo lì, inquietante e disumano, gli fa ancora più paura. Osserva l’arrosto speziato che il fratello morto gli allunga praticamente sulle labbra.
    «Non ho fame adesso, Araton. Vai a giocare!» Poi si volta verso Erodhir, ma lui non c’è più.
    «Perché sono tutti così? Questa gente dovrebbe essere morta, l’Esercito del Male li aveva sterminati tutti.»
    Sbuffa, si sente sola.
    La raggiunge anche l’amica Niniel, la giovane donna si siede accanto a lei. La luna brilla nei suoi occhi disincantati, la voce alticcia e le guance rosse tradiscono uno stato di ebbrezza. Ride e si muove in maniera scoordinata, prova a portarla in mezzo alla piazza dove si sono aperte le danze a ritmo di liuto e organetto.
    «Forza, scatenati! Non restare lì impalata e vieni a divertirti insieme a noi. Cosa c’è che non va, non ti piace la nostra festa?»
    «Niente Niniel, proprio niente! La festa è fantastica, sono io che sono molto stanca e stento a capire. »
    Harold trascina subito via Niniel.
    Non aveva mai visto nemmeno lei abbandonarsi così tanto facilmente al divertimento, esternare effusioni d’amore con il suo amato in pubblico e senza vergognarsi neanche un po’.
    «Non è la solita Niniel, quella che ricordo io era timida e introversa.»
    La osserva bere del vino direttamente da una boccia, sollevata con entrambe le mani.
    «Ma lei non era astemia?»
    Questo nuovo mondo le sembra capovolto, così come si sono capovolte le regole della vita e della morte. Cerca nuovamente il suo compagno di viaggio. Erodhir sembra stranamente interessato alle giovani non-morte del villaggio.
    «Che rabbia! Sì, è decisamente un mondo che gira al rovescio.»
    Stavolta è lei a cercare Erodhir e lui ad ignorarla. Se ne sta incollato alla loro gonnelle come un adolescente alla prima uscita.
    «Esternare una scenata di gelosia? Proprio non se ne parla, non posso abbassarmi al livello dei comuni mortali.»
    Piuttosto infastidita dall’atteggiamento dell’amico volge lo sguardo altrove. Anche gli altri compagni di ventura sono ubriachi già da un pezzo e cantano all’unisono abbracciati, dondolando a destra e a sinistra.
    «Forse dovrei bere anche io per non pensare più.»
    Si sta quasi per convincere, ma…
    «No. Io non posso» esclama sbattendo le gambe come una bambina.
    «Cosa non puoi?»
    È Ilya.
    Si siede accanto a lei.
    All’improvviso è come se tutti gli altri e il loro cicaleccio svanissero dietro al volto misterioso del mezzelfo della compagnia. Le sue orecchie a punta lunghe e altere sovrastano la luna: ingombrante, lucente, irriverente, fastidiosa. Ilya le tende il suo portavivande appena riempito a dovere. È un piatto consueto dei contadini, una zuppa di verdure con ceci e timo al rosmarino, grasso e carne di pollo.
    Anche lei vuole farla mangiare.
    «Lasciati andare Aranel, rilassati. È buono sai, non avevo mai mangiato nulla di così delizioso. Questa gente ha il dono della cucina, soprattutto la tua amica Niniel.»
    «Lasciarmi andare e rilassarmi? Assumere il loro cibo. Io non posso, devo restare pura.»
    «Cosa?» sorride Ilya.
    «Ilya, non trovi che si stiano comportando tutti in modo strano? Non parlo di questi cadaveri viventi, ma dei nostri compagni. È come se si fossero scordati di Gandelam e della nostra missione, di quanto sia importante per noi restare uniti e compatti. Se sapevo che il villaggio era stato distrutto e la sua gente massacrata non sarei venuta qui. Soprattutto non mi aspettavo di vederli tornare così.»
    Il mezzelfo scoppia a ridere, poi posa le vivande.
    «Così come? Sono tornati in vita, dovresti essere felice piuttosto.»
    Aranel si fa nervosa.
    «Non è magia buona, lo sento.»
    Ilya è un muro.
    «Stai tranquilla, non ho bevuto! Non sono sbronza e so capire i comportamenti. Io non ci trovo nulla di strano in loro.» Poi inizia ad ingozzarsi avidamente, mentre Aranel resta inebetita ad osservarla.
    «È come se non mangiassi da giorni, contieniti. Non lo sai che questo cibo potrebbe essere contaminato e tu potresti perdere l’uso della magia?»
    «Piantala, e mangia.»
    In fondo l’odore del cibo è veramente buono e anche l’aspetto sembra piuttosto appetitoso. Sta quasi per cedere quando decide di respirare forte e riflettere. Tuttavia osservare Ilya che mangia come un animale è come essere ipnotizzata.
    Il mezzelfo si pulisce le labbra unte con la manica, parla con il cibo ancora in bocca sputacchiando un po’ ovunque. È molto diversa anche lei dalla creatura esageratamente schiva e introversa vista finora.
    «La sai una cosa, Aranel?» le dice facendosi seria all’improvviso. «Noi due siamo partite con il piede sbagliato. Io non odio gli elfi, anche se mi hanno sempre trattato come un essere inferiore. E poi tu non sei proprio un elfo. Mi piace la nostra compagnia.»
    «Non l’ho mai pensato» risponde secca Aranel.
    «Cosa?»
    Gli occhi di Ilya sono piantati dentro ai suoi.
    Aranel sospira.
    «Non ho mai giudicato nessun tuo atteggiamento, neanche alla locanda. E poi tu che ne sai di me? Non penserai che un paio di visioni confuse ti dicano chi sono io. Non mi conosci per niente.»
    Eppure l’anziana maga, prima di partire, l’aveva avvertita.
    «Cercheranno di contaminarti facendoti bere o mangiare cibo o bevande in cui è stato mescolato il maleficio. Ossa di morti, sangue mestruale, polveri varie, parti di animali...»
    Tuttavia la giovane elfa, assuefatta dallo sguardo ingordo di Ilya, prende una coscia di pollo e l’addenta. Il sapore è buono e la voglia di ingozzarsi si fa imperdonabile.


  5. .
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    Originale su Internet...

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    L'ultimo pasto



    Era iniziato tutto con un banale pensiero.
    “Se solo questo mestolo fosse una spada magica…”
    La cucina del castello era sempre stata il mio rifugio, il mio regno, un luogo dove nessuna delle preoccupazioni del mondo poteva toccarmi. Un santuario, come quelli dedicati agli dèi. Quel giorno però era una stia vivente, le cui sbarre mi premevano contro con insistenza, come per pungolarmi. Fin dal mattino, ogni piatto che avevo cucinato era stato paragonabile a un parto. Mentre le ore del giorno si consumavano e fuori il sole moriva nel rosso della sera, non riuscivo a trovare dentro di me la forza per preparare l'ultimo pasto. A che scopo affannarsi tanto per riempire stomaci che, presto, le lame nemiche avrebbero trapassato? Perché sprecare le ultime ore nel mondo dei vivi in azioni tanto inutili, quando ci si poteva raccogliere in preghiera e raccomandare l'anima agli dèi?
    Erano questi i miei pensieri mentre – dopo aver finito di rigovernare – mi pulivo le mani sul grembiule. Non ero mai stato un guerriero, non ero un tipo coraggioso né bramavo la gloria in battaglia; il mio unico desiderio era sempre stato quello di saziare la gente e renderla felice con il mio mestiere. Il cibo non era solo nutrimento, ma anche comunione. Come le belle arti era in grado da sempre di unire, di generare allegria, di alleviare la sofferenza e di raccogliere le persone attorno a un fuoco. Poteva così tanto, eppure non era mai abbastanza. Non per me. Non aveva il potere di fermare le guerre, di sradicare l'odio, di promuovere la fratellanza… non tra tutti i popoli, almeno.
    All'esterno rimbombavano i tamburi dell'esercito nemico, una forza troppo grande per poter resistere a lungo. Quella notte ci sarebbe stato il sacco del castello: i vassoi ben impilati, il cibo nella dispensa, i miei preziosi strumenti… i soldati dell'Impero non avrebbero risparmiato nulla. Anche qualora il Conte si fosse arreso, di certo non avrebbero fatto prigionieri, perciò non restava che perire. Certo, secondo un detto popolare era meglio morire a stomaco pieno, ma nelle mie ultime ore proprio non riuscivo a trovare alcun conforto in una banalità come quella. Fu la prima volta in vita mia in cui desiderai d'essere un guerriero invincibile, invece che un semplice cuoco.
    Afferrai il mestolo e me lo rigirai tra le mani.
    “Se solo fosse una spada magica in grado di salvarci…”
    «Scegliere cosa essere è una delle grandi illusioni della vita.»
    Sobbalzai al suono di una voce tanto acuta quanto piena di dignità. Mi guardai intorno, ma la cucina era vuota.
    «Chi è?»
    «Quassù, tontolone.»
    Alzai lo sguardo sul ripiano più alto di uno degli scaffali e il mestolo mi scivolò di mano.
    «Questo deve essere l'aldilà… gli uomini dell'Imperatore sono già entrati e mi hanno ucciso, vero?»
    La fata accavallò le gambe e mi lanciò un'occhiata impietosita.
    «Sei proprio un sempliciotto, eh? Li senti i tamburi da guerra? Se non ti basta, datti un bel pizzicotto… o magari vuoi che te lo dia io?»
    Raccolsi il mestolo e lo pulii senza staccare gli occhi dalla creatura magica.
    «Di storie ne ho sentite, da bambino, ma non credevo che alcune potessero essere vere!»
    «Pochi ci credono, e a noi sta bene così. Non ci piace attirare l'attenzione.»
    «Come mai allora ti sei fatta vedere? Questo non è posto per una creatura come te, specie durante un attacco nemico.»
    La fata si ravviò i capelli azzurrini e sorrise.
    «Passavo di qua e ho sentito dei pensieri interessanti… i tuoi.»
    «Leggi pure nel pensiero? Ma va'?»
    Lei si fece seria di colpo.
    «Mio caro, non puoi cambiare ciò che sei più di quanto tu non possa mutare il colore del cielo.»
    Posai il mestolo e cominciai a pelare le patate, come facevo sempre per calmare i nervi.
    «Questo lo so benissimo da me, non c'era bisogno che una fata si scomodasse per venirmelo a dire.»
    «Quello che intendo è che non serve a nulla perdere tempo a piagnucolare per ciò che non è, quando si può agire su ciò che è.»
    «Che accidenti vorrebbe dire?»
    La fata rise.
    «Che dovresti concentrarti su ciò che sai fare e che ami, su ciò che è in tuo potere fare. Il resto verrà da sé.»
    Le rivolsi un sorriso beffardo senza interrompere il lavoro.
    «Vuoi dirmi che, se cucinerò il pasto migliore della mia carriera, salverò tutti?»
    Il piccolo faccino di lei mostrò un'espressione scocciata.
    «Non essere stupido, è una cosa seria.»
    «Allora a cosa servirà, a parte a riempire lo stomaco di morti che camminano?»
    La creatura magica fece oscillare il piccolo indice davanti a sé.
    «Vedi? Questo è l'atteggiamento sbagliato. Come pretendi che avvenga un prodigio, se ti dai per vinto in partenza?»
    Risi.
    «A meno che tu non nasconda un'arma micidiale in quel tuo vestitino, non credo proprio che potremo cambiare il destino.»
    Lei balzò in piedi, si lanciò dallo scaffale e prese a svolazzare in direzione della porta.
    «Benissimo, allora tante buone cose. Addio!»
    Smisi di pelare le patate e mi voltai di scatto, guidato dal puro istinto.
    «Aspetta! Cosa devo fare?»
    La fata tornò indietro e volteggiò intorno a me un paio di volte.
    «Quello che sai fare meglio, sciocco. Ma devi metterci l'anima, altrimenti i tuoi resteranno semplici piatti, per quanto buoni.»
    Si fermò davanti a me e mi guardò negli occhi.
    «Tutti quanti abbiamo la magia dentro, caro mio. Qualunque cosa desideri, puoi renderla reale con le tue mani. Devi solo crederci davvero. Chiudi gli occhi.»
    Obbedii.
    «Adesso immagina le portate che vuoi cucinare, pensa a ogni singolo dettaglio: alla consistenza, al sapore, alle spezie e alle guarnizioni. E pensa a ciò che desideri di più per coloro che consumeranno il cibo.»
    Sorrisi.
    «Sì, lo vedo. Lo vedo!»
    «Vedi cosa?» chiese la voce dell'aiuto cuoco entrando in cucina. Aprii gli occhi di scatto: la fata non c'era più. Ma c'era mai stata davvero, o la paura mi aveva soltanto fatto impazzire? Scossi la testa.
    «Niente, pensavo alla cena. Mettiamoci al lavoro.»

    ***



    Non seppi mai se la fata fosse stata davvero lì, e neppure se l'eroica resistenza dei nostri uomini fu dovuta anche – in certa misura – alla passione che misi nel mio lavoro. Ogni cosciotto di pollo, ogni formaggio, ogni pietanza ricevette la massima attenzione, come se si trattasse della mia prole. Ciascun ingrediente era dosato alla perfezione, ogni sapore ben bilanciato.
    Dapprima il mio aiuto cuoco aveva lavorato con una certa indolenza, se non con vera e propria rassegnazione, ma presto lo avevo contagiato col mio trasporto. Gli dissi che, se anche tutti i commensali di quella notte fossero morti e nessun avrebbe mai saputo com'era stato il pasto, volevo comunque che nel tempo che restava loro potessero dire che era una cena degna degli annali della storia. Un ultimo pasto meritevole d'essere ricordato nei secoli dei secoli, che li avrebbe accompagnati nella gloria dell'aldilà – al cospetto degli dèi – con il sorriso sulle labbra.
    Preparammo un gran numero di pietanze, tanto che ne sarebbe avanzato anche per il giorno successivo: focacce di ceci accompagnate da fave e uova fresche, zuppe di pesce e di verdure affiancate da forme di pane appena sfornato; polli e maiali arrosto, castori e fagiani in salsa agrodolce. E ancora foie gras, costolette di agnello alla brace, formaggi stagionati diciotto mesi e mozzarella. Il tutto guarnito e condito al meglio con olio, erbe aromatiche e spezie secondo ciascun piatto. Da bere, ci assicurammo di servire la migliore birra e il vino rosso d'annata dalle cantine, come voluto dal Conte; per dolce, torte di mele, uva passa, frutta fresca e mele cotte.
    Lavorammo come mai avevamo fatto in vita nostra: alla fine eravamo esausti e sporchi e persino la cucina somigliava a un campo di battaglia, ma eravamo così soddisfatti che ci scambiammo un sorriso, nonostante la situazione.
    L'attacco delle truppe imperiali giunse al cambio della guardia, poco prima dell'alba, e gli uomini del Conte lottarono come mai prima di allora. Come accadeva sempre in ogni guerra, vi furono atti di crudeltà e di viltà, ma anche d'indomito coraggio e di abnegazione. Le forze nemiche furono più volte sul punto di aprire una breccia nel portale e di invadere le mura con le loro scale d'assedio, ma i difensori li respinsero sempre. Andò avanti per giorni: a ogni pasto che cucinavo, mi dicevo che sarebbe stato l'ultimo. E ogni volta ricordavo le parole della fata che credevo d'aver veduto nella mia cucina.
    Tutti quanti abbiamo la magia dentro, caro mio. Qualunque cosa desideri, puoi renderla reale con le tue mani. Devi solo crederci davvero.
    Che fosse solo merito del coraggio, della forza e della determinazione del Conte e dei suoi uomini, o che le parole della fata contenessero un fondo di verità, il castello resistette. Dopo una settimana di assedio giunsero i rinforzi e le truppe dell'Impero batterono in ritirata. Eravamo salvi. Per quel che valeva, nella mia cucina avevo infuso ogni mia speranza, ogni mio desiderio di salvezza per la nostra gente, e l'auspicio che tutti noi potessimo di nuovo mangiare allo stesso desco.
    «Fine», conclusi con un sorriso, mentre i miei nipoti mi osservavano con tanto d'occhi.
    «E la fata? Non l'hai più rivista?» chiese Suleh, il più piccolo.
    «No, mai. Forse la immaginai soltanto, ma mi piace pensare che sia perché, come disse lei stessa, a loro non piace trovarsi al centro dell'attenzione.»
    Namys, la più grande, sorrise.
    «Una cosa è certa… la cucina del nonno è la migliore del mondo!»
  7. .
    IMPORTANTE!

    Serata Discord programmata per martedì 02 aprile 2024 dalle ore 21:30 in poi.
    CHI HA VOGLIA DI PASSARE UNA SERATA IN COMPAGNIA A FARE QUATTRO CHIACCHIERE E PARLARE DELLE VOTAZIONI DEL PRIMO TURNO DI POETAMI 2.. CI TROVA! :)
    Chi non ha accesso alla piattaforma Discord e vorrebbe partecipare può chiedere il link di invito ad uno degli Amministratori. Sono sempre gradite le new entry... chat anche in video/audio, o solo audio.

    CANALE DISCORD - INFO UTILI

  8. .
    Avvisiamo gli utenti che sono state accorpate le sezioni "Pubblicizza il tuo libro" e "Libri, Scrittori & Poeti" nella categoria "Rime e Trame", mentre la categoria delle "Arti Visive e Musicali" è stata portata più in alto, subito sotto ai contest e alle iniziative.
    Dopo di essi trovate il "Portfolio" e il "Caffé Letterario".
    La sezione "Case Editrici" invece è stata dismessa, in quanto poco frequentata. Le discussioni presenti al suo interno sono state spostate nella "Sorgente della Conoscenza".
    Grazie per l'attenzione! :love:
  9. .
    Noi eravamo impegnati al festival dell'oriente :gelato: Ora siamo sulla via del rientro.

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  10. .
    Come proteggersi a pochi spiccioli:

    1) stampa la tua opera

    2) firmala

    3) mandati da sola una raccomandata con la tua opera

    4) conserva la ricevuta di ritorno

    COMPLIMENTI! :gallo:

    Ora la tua opera ha data certa! Sarà difficile passarla liscia se qualcuno ti copia, essendoci la prova che quell’opera esisteva anteriormente.

    Ps: la mail purtroppo vale poco a meno che non sia una PEC.
  11. .
    CITAZIONE (Lucrezia @ 24/3/2024, 13:18) 

    Ti ringrazio per la risposta, in pratica il dubbio che ho resterebbe confermato ma credo che non posso fare diversamente e provare a fidarmi di chi riceve il manoscritto. Registrare la propria opera alla SIAE e pagare equivale a soldi sprecati? Specie se la qualità è quella che è!
    Scusami ancora.


    Secondo me, sì, considerato che non sono le idee che mancano alla gente, quanto piuttosto la capacità di metterle in pratica con un certo livello qualitativo. Gli editori ricevono talmente tanto materiale che, più che il plagio, bisogna preoccuparsi della concreta possibilità che la tua opera non la aprano nemmeno. :D
  12. .

    Ti ringrazio per la risposta, in pratica il dubbio che ho resterebbe confermato ma credo che non posso fare diversamente e provare a fidarmi di chi riceve il manoscritto. Registrare la propria opera alla SIAE e pagare equivale a soldi sprecati? Specie se la qualità è quella che è!
    Scusami ancora.

  13. .
    Garanzie non ne hai, comunque è una possibilità molto remota. Se può consolarti, comunque, l'e-mail da te inviata con l'allegato e la data, se conservata, può fungere da "prova" per quanto riguarda la paternità dell'opera originale. Poi chiaro che se uno rielabora abbastanza, non puoi farci niente.
    Basti guardare la Rowling, che rubò l'idea di base per H.P. a un'altra autrice e sbancò. :laugh:
  14. .
    Proporre romanzo a Casa Editrice

    Chiedo scusa se torno a scrivere qui dopo un po' per chiedere una cosa di interesse personale, ma ho un atroce dubbio che mi rimugina nella testa. Vorrei proporre un mio romanzo a qualche editore ma ho timore che mi rubino l'idea. Se io invio un mio manoscritto e lo scartano, chi mi dice se la mia idea viene comunque presa in considerazione e rielaborata? So di non essere brava a scrivere, ma magari l'idea è buona e qualcuno potrebbe prenderla. Come ci si tutela in questi casi? Voi come fate? Qui ho visto che ci sono scrittori in gamba che magari hanno già pubblicato con qualche casa editrice. Grazie a chi mi potrà rispondere.

  15. .

    PENULTIMO TURNO DEL CONTEST
    Questa è la situazione!
    CLA-RAC

3250 replies since 29/10/2007
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