» La soffitta di InchiostrodiVerso

In fuga

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  1. MournfulCreatureOfTheDark
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    Se qualcuno avesse guardato quella scena, molto probabilmente avrebbe subito pensato al classico incontro tra due innamorati, due giovani che si riabbracciano dopo tanto tempo; forse lo spettatore avrebbe ipotizzato che lui era stato in guerra, o che lei era appena entrata in età da marito, ma nessuno, lui lo sapeva, avrebbe mai potuto avvicinarsi alla verità. Certo, era pur vero che lei gli stava correndo incontro, ma la sua corsa non era sostenuta dalla gioiosa e all'apparenza inesauribile energia dell'amore, bensì dal freddo vento dell'addio, che, con violente folate, le sferzava la pelle; non era amore ciò che li univa quel giorno, ma disperazione. Lei era destinata a un uomo che non amava, lui a una carica che non voleva, entrambi non desideravano altro che un modo per sfuggire alla propria sorte, e quel modo, per quanto doloroso, l'avevano trovato; se quel giorno si erano dati appuntamento in prossimità delle porte del regno era perché sapevano che, se a casa erano in catene, ciò non significava che non potessero cercare la libertà altrove. Avrebbero lasciato la città in cui erano nati, i palazzi che li avevano ospitati, le persone che li avevano amati, si sarebbero lasciati tutto alle spalle per evitare di affrontare un destino che non sentivano loro, e forse, col tempo, sarebbe realmente giunto un giorno in cui si sarebbero corsi incontro con la sola voglia di abbracciarsi, senza altri progetti e problemi a intromettersi tra loro; quel giorno, però, non c'era spazio per l'amore. Quello era il giorno della grande fuga.

    Ted respirò a pieni polmoni l'aria fresca della foresta, l'aria di quella parte di giorno che non è più notte ma non è ancora dì, l'aria che sapeva di abete, di natura, di resina e di mela, di mela come lei, come Edie; non volle aprire gli occhi, non volle voltarsi a guardarla e vedere che gli occhi di lei erano colmi di tristezza, non volle voltarsi e vedere il riflesso della foresta nell'iride verde della donna, quel riflesso che sarebbe stato impoverito dalle tinte fosche della nostalgia. Se solo la foresta fosse stata innevata, e alla casa in legno si fosse sostituita un'immensa rocca, Ted avrebbe senza dubbio affermato di trovarsi ancora nella propria città natia, e l'incessante borbottio azzurro di una cascata, lo stesso che riempiva spesso i silenzi nella casa dove aveva vissuto Edie, non faceva che rendere più reale quell'illusione. Oltre alla cascata, il silenzio; la notte, o quel che ne restava, era limpida e tranquilla, in netto contrasto con il suo stato d'animo. Sebbene Edie non avesse mai accennato all'argomento, lui sapeva che lei voleva tornare a casa, sapeva che notti come quella facevano crescere in lei la nostalgia; lui avrebbe fatto di tutto per lei, avrebbe fatto nevicare in quella limpida sera d'estate, ma tornare al regno significava condannare a morte suo fratello, e lui non avrebbe mai e poi mai potuto fare una cosa simile. Lei non ne parlava, forse non ne voleva parlare, ma lui aveva bisogno di sapere; gli sembrava che quella placida notte fosse l'ideale per sfogare il turbinio di pensieri che gli affollava la mente, quindi si decise a parlare.
    -A cosa pensi, Edie?-
    E lei, semplicemente, disse quel che lui non voleva sentire.

    -Potremmo dover affrontare un problema, uno bello grosso-
    Le ci volle qualche minuto per ricordare che nessuno avrebbe ribattuto alla sua affermazione; la solitudine era ormai la sua unica compagna di viaggio. Da un centinaio di metri, però, aveva la sensazione di essere nel torto: non poteva dirlo con certezza, ma era piuttosto sicura che qualcuno la stesse seguendo. Si disse che, in fondo, un pedinamento o presunto tale non era poi un gran problema; quella sensazione non faceva altro che aggiungere altra confusione a quel miscuglio indistinto di emozioni che stava provando. Sapeva di essere già stata in quel luogo, ma le sembrava che molte cose fossero cambiate, che quella foresta non fosse più la stessa, che si fosse fatta più fitta, più buia, più silenziosa; le cime degli abeti avevano inghiottito la luna, intrappolando qualche stella ribelle tra i propri aghi, e il sentiero su cui camminava, un tempo ben definito da piccoli sassi bianchi, era ora invaso dai rovi, stretti attorno a esso come dubbi avviluppati attorno a una semplice decisione, atti a renderla più difficile e dolorosa che mai, proprio come facevano le spine di quei rovi, che le graffiavano le gambe pallide, strisciandole di rosso. Sì, quel luogo era decisamente cambiato, ma non poteva essere altrimenti; erano passati più di cinquecentomila giorni da quando aveva lasciato il regno con Ted, più di milletrecento anni, e, come era cambiata la Terra di Mezzo, così dovevano essere cambiati tutti gli altri luoghi. Era cambiata la Terra, era cambiato quel luogo, ma lei non era cambiata per niente; non c'erano tracce del lungo esilio sul suo volto, nessun segno dello scorrere del tempo, e non ci sarebbe stato mai, fino al giorno della sua morte, quando sarebbe tornata a essere uno spirito, abbandonando il proprio corpo tra la neve di Ásgarðr così com'era in quel momento, giovane, perfetto, magnifico. Le ferite alle gambe sarebbero guarite nel giro di qualche minuto, forse anche meno, e un solo morso a una delle mele che gelosamente custodiva nel suo cesto avrebbe cancellato ogni segno dei rovi sulla sua pelle diafana; ma più si addentrava nel cuore della foresta più si sentiva sperduta, e d'improvviso le pareva che quei rovi e quei graffi fossero il minore dei suoi problemi. Il costante fruscio dei rami, i versi degli animali del bosco, il buio fitto, quell'intero scenario le faceva scendere i brividi lungo la schiena, e quella civetta bianca che la fissava coi suoi occhi d'ambra la metteva ancor più a disagio, standosene lì, immobile, silente, come a giudicarla dall'alto del suo ramo verde. Kvasir, dio della saggezza, le aveva detto che la civetta bianca rappresentava il vedere la luce in una giornata buia, il vedere quel che in genere non si riusciva nemmeno a scorgere, la soluzione di un enorme problema; ma se quella civetta era appollaiata su di un ramo proprio sopra a un bivio, senza dar segno di preferire l'una o l'altra strada, allora cosa rappresentava? Qual era la strada che portava ad Ásgarðr, qual era la strada che portava a Yggdrasil, la sua meta all'interno della città? Non riconosceva nessuno dei due sentieri, e la civetta, al contrario di tutti gli altri animali, ancora taceva; non avendo il rapace a consigliarla, né tantomeno Kvasir, non le restava che affidarsi alla sorte, perciò si diresse a sinistra, verso quello che riteneva essere il Nord. Non aveva fatto che cinque passi quando sentì uno strano rumore alle sue spalle: la civetta si era spostata più in basso, infilandosi dentro una cavità nel tronco dell'albero, continuando però a seguirla con lo sguardo, la testa voltata verso di lei. Si perse negli occhi giallastri del rapace, cercando di capire se fosse realmente una civetta o piuttosto un dio in incognito, ma non passò molto tempo prima che la staticità di quella scena iniziasse a sembrarle strana, facendole riprendere il cammino; aveva ancora molta strada da fare, e non poteva permettersi di perdere altro tempo. Le bastò però tornare a guardare davanti a sé per capire che qualcosa era cambiato: a qualche centinaia di metri di distanza, oltre una lieve salita, s'intravedeva una figura vestita di bianco, un uomo, un giovane alto che credeva di conoscere ma che, da quella distanza, non riusciva a identificare. Era forse Loki, dio del fuoco e mutaforma? Si avvicinò in silenzio, sorpresa dal fatto che anche lui, come la civetta, fosse immobile, e ancor più stupita quando, avvicinatasi abbastanza da riconoscere quella sagoma, la vide correre via, lasciandola a bocca aperta in mezzo alla foresta; prima ancora di rendersene conto, stava già inseguendo il suo promesso sposo, urlando il suo nome a squarciagola, stupendosi di sé stessa e delle proprie azioni. Aveva sempre saputo di essere promessa a Bragi, e sempre si era ripromessa che per nessun motivo al mondo si sarebbe arresa al suo destino, eppure era lì, a inseguirlo nel cuore di una foresta, a cercarlo in lungo e in largo mentre lui pensava ad altro, faceva altro, amava altro; Bragi era il dio della poesia, e lei sapeva che lui non avrebbe mai potuto amarla quanto amava la sua arte, i suoi versi, le sue rime, sapeva che lei sarebbe sempre stata al secondo posto, sapeva che lui avrebbe sempre amato la poesia e tutte le donne che lo ispiravano, non solo lei, non lei sola. Si era sempre detta che non poteva farsi questo, che non poteva condannarsi a questo, eppure correva a perdifiato lungo il sentiero cercando di scorgere nuovamente il suo promesso sposo, come se da ciò dipendesse tutta la sua vita, come se niente altro avesse importanza, come se lo scopo di quel viaggio non fosse in realtà capire ciò di cui Yggdrasil aveva bisogno, trovare un modo per farlo prosperare nei secoli a venire, ma incontrare Bragi, vederlo finalmente di persona e non solo tramite lo specchio d'acqua che Saga usava per le sue visioni, innamorarsi di lui all'istante, come voleva il destino, di un amore così intenso e forte che l'avrebbe sopraffatta fino alla fine dei suoi giorni, che l'avrebbe spinta a difendere Bragi da accuse e calunnie, che l'avrebbe tormentata giorno e notte quando non sarebbero più potuti stare insieme, che le avrebbe fatto desiderare di distruggere le proprie mele, condannando gli dei a morte, la morte prima della rinascita, in quel circolo infinito che esisteva da sempre e che sarebbe durato fino a Ragnarök, la notte degli dei, la notte in cui tutto sarebbe finito, loro, il suo amore per Bragi, gli stessi dei, il mondo intero. Aveva provato a scappare, ma era tutto inutile; come sapeva che non aveva modo di sottrarsi alla vera morte, quella che non l'avrebbe più condotta alla rinascita, così sapeva che non importava quale strada avrebbe preso, perché, prima o poi, sarebbe arrivata a destinazione, tra le braccia di Bragi, tra le braccia del dio da cui aveva cercato di scappare e che ora stava scappando da lei. Le sue gambe accettarono di fermarsi solo quando si ritrovò in un luogo che non conosceva, un luogo dove Bragi non poteva nascondersi; la foresta era scomparsa di colpo, ritirandosi alle sue spalle, mentre di fronte a lei non si vedeva che ghiaccio, freddo e infinito ghiaccio, e un enorme buco nel terreno, un buco che la attirava a sé senza che lei potesse far nulla per impedirlo. Nella Terra di Mezzo li chiamavano buchi neri, ma era impossibile che uno di essi si fosse materializzato in quel luogo, o almeno così credeva lei, perché l'evidenza, e la forza attrattiva che la stava controllando, affermavano il contrario; guardando dentro il buco, mentre era ormai prossima al bordo, si chiese se sarebbe morta nella caduta, ma l'unica risposta che ottenne fu il buio fitto in cui piombò.

    Aprì gli occhi e si sentì subito più confusa che mai, non sapendo neppure distinguere il cielo dalla terra, con l'orizzonte irriconoscibile nell'immensa distesa bianca che si trovava di fronte a lei; bianco sopra, bianco sotto, bianco il cielo e bianco il terreno, bianco ovunque, e nessun segno del buco nero che l'aveva catapultata lì. Cos'era quel posto? Non aveva mai visto niente del genere, e quella monocromia rendeva tutto incredibilmente surreale, per non parlare dell'assoluto silenzio che l'avvolgeva, o della totale mancanza di punti di riferimento; era forse finita a Niflheim, regno della nebbia, la terra di ghiaccio e neve, il luogo dove riposava chi non aveva accesso al Valhalla, il paradiso degli eroi? Paradossalmente, forse anche da lì, dal regno dei morti, avrebbe potuto comunque raggiungere Yggdrasil, l'albero della vita, l'albero che sosteneva il cielo e i mondi coi suoi possenti rami, e che cresceva in minima parte nel regno di Goðheimr, nella città di Ásgarðr, dove donava agli dei le verdi mele che permettevano loro di non invecchiare mai; senza di lei, dea della giovinezza e protettrice delle mele, l'albero non poteva dare frutti, o meglio, non avrebbe potuto farlo se solo lei, invece di fuggire, avesse accettato di partecipare alla cerimonia in cui Odino le avrebbe donato i pieni poteri, rendendola una vera e propria dea. Le Norne si stavano prendendo cura di Yggdrasil in sua assenza, ma lei sentiva che l'albero soffriva, e se soffriva Yggdrasil soffriva l'universo intero; lei doveva trovare un modo per farlo tornare al suo naturale splendore, era quello il motivo per cui aveva iniziato quel viaggio, e in quel luogo che nulla aveva di naturale si rendeva conto, forse per la prima volta, che poteva non esistere altra soluzione diversa dall'accettare il destino che era stato tessuto per lei, illustrato nell'arazzo realizzato da quelle stesse Norne che si occupavano di Yggdrasil. Iniziò a vagabondare per quella terra sconosciuta, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarla a ritrovare la via per l'albero della vita, ma ben presto s'accorse che non aveva nemmeno modo di sapere se stava girando in tondo o meno, tanto privo di differenze era il panorama che i suoi occhi continuavano a scorgere, non importava quanti passi facesse o in che direzione andasse; si era persa, persa in un mondo che non sapeva riconoscere, senza nessuno che potesse aiutarla. Si sedette al suolo, incrociando le gambe; tanto valeva restare seduti lì, immobili, aspettando che qualcuno si facesse vivo, attendendo una guida capace di scortarla fuori da quel labirinto di ghiaccio e nuvole. Si stava chiedendo se non fosse tutto uno scherzo ideato da Loki quando, all'improvviso, sentì un respiro caldo sfiorarle la nuca, che la fece tremare di paura; non aveva sentito nessuno arrivare fin lì, nessun rumore, nessun suono.
    -Bragi?- chiese timidamente, senza il coraggio di voltarsi; non ottenendo risposta, si alzò di scatto, girandosi in tutta fretta, e rimanendo ancora una volta a bocca aperta. Di Bragi non c'era traccia, ma la civetta aveva fatto la sua ricomparsa, posata sulle corna di uno splendido esemplare di alce; se già prima le pareva di essere impazzita, ora era sicura d'aver perso completamente il senno. O forse l'alce era la guida che cercava? Se era vero che l'alce era il simbolo della gioia, allora avrebbe potuto condurla all'albero della vita, il luogo dove la felicità aveva inizio; dato che l'alce aveva iniziato a camminare, con la civetta che l'accompagnava, decise, non avendo nulla da perdere, di seguire i due animali, ma le sembrava di continuare a girare a vuoto, senza meta, almeno finché non scorse del terriccio nerastro poco distante, che pareva spuntato fuori dal nulla. Dovette avvicinarsi per capire che non era il terreno a essere nero, ma i frutti e i fiori che lo ricoprivano, completamente avariati, marci, dall'olezzo nauseabondo; degli alberi nessuna traccia, ma, visto quanto arido era il terreno, non sarebbe stato poi così sorprendente scoprire che erano stati estirpati perché ormai secchi, inutili, privi del dono della vita. Come se le stranezze non fossero abbastanza, la nebbia si stava addensando poco più avanti, formando un compatto muro grigio che pareva però non influire sull'avanzata dei suoi bizzarri compagni di viaggio; si disse che forse era il caso di smetterla di farsi domande a cui non poteva dare una risposta, che forse avrebbe fatto meglio a smetterla di rimuginare su tutto quel che stava accadendo, ma mentre si perdeva in queste considerazioni si perdeva anche all'interno di quello strano mondo, rimanendo intrappolata tra pareti di grigie goccioline fredde, senza più riuscire a scorgere i suoi compagni animali. Un ululato improvviso ruppe il silenzio che, fino ad allora, aveva regnato incontrastato, e in esso lei riconobbe all'istante la fierezza e la ferocia del lupo, l'animale adorato da Thor, dio della guerra, che lo considerava quasi come una guida, un maestro, un amico fidato che l'avrebbe condotto lungo i tortuosi e intricati sentieri della vita; e, se Thor considerava il lupo una guida, perché non avrebbe dovuto farlo anche lei? Si avviò a tentoni verso l'ululato, che si protraeva nella nebbia, sperando di toccare coi palmi qualcosa che le potesse darle anche solo un minimo indizio sul luogo nel quale si trovava; ma, invece del tatto, fu la vista a donarle una nuova sorpresa, quando si accorse che ai suoi piedi si era illuminata una strada, coi sassolini bianchi che brillavano nel grigiore della foschia e che tanto le ricordavano il Bifröst, la via dei colori che collegava Ásgarðr a Miðgarðr, il mondo degli uomini. Più il lupo ululava più la strada s'allungava, sempre più luminosa, con lei che continuava a chiedersi dove sarebbe finita; un altro buco nero? Un altro posto sconosciuto? O forse il lupo l'avrebbe condotta a Truðheimr, la residenza di Thor? In quel momento le pareva di non avere più alcuna certezza, e il tanfo del marciume visto poco prima continuava a infastidirla, perseguitandola, spingendola a tapparsi inutilmente il naso; quell'intero mondo era oltremodo inquietante, cupo e lercio, orribile, un incubo divenuto realtà, un incubo che pareva non aver mai fine, un incubo dal quale non riusciva a svegliarsi. Com'era arrivata lì, dov'era diretta, c'era forse qualcuno che la stava manovrando, un burattinaio nascosto dalla coltre di nebbia? Non sapeva cosa pensare, era completamente smarrita; non era servito seguire la civetta, non era servito seguire l'alce, non serviva seguire il lupo, quindi cosa doveva fare?
    -Yggdrasil!-
    La risposta apparve davanti ai suoi occhi, la nebbia che, rapida com'era comparsa, era svanita; Yggdrasil, l'albero di cui lei doveva prendersi cura, stava morendo, era secco, i rami incurvati, privi di foglie, le mele erano marcite e cadute ai suoi piedi, diventando inutilizzabili. Finalmente, dopo tanto vagabondare, le era tutto chiaro: sapeva esattamente cosa doveva fare.

    -Sai, delle volte cerchiamo a lungo risposte che non troveremo mai, e a volte invece cerchiamo di seppellire risposte che non vorremmo mai trovare. La verità è che noi, prima di essere individui, siamo un intero mondo, pieno di luoghi che ci affascinano e ci sorprendono, e che ci fanno anche un po' paura, ma che dobbiamo comunque esplorare; la verità è che, seguendo la ragione, lasciando che essa ci mostri nuovi aspetti di problemi che credevamo di conoscere in ogni dettaglio, ci mancherà sempre qualcosa, quella parte imprevedibile e irrazionale della vita che tutti anelano e pochi ottengono davvero. D'altra parte, amico mio, seguendo solo e soltanto il cuore rischieremmo di rovinare tutto ciò che abbiamo, di nuotare per anni nell'oceano della felicità dimenticando però tutto quel che abbiamo lasciato sulla terraferma, e se invece ci affidiamo al puro e semplice istinto allora abbiamo la possibilità di trovare una strada, ma anche di perdere completamente la rotta; il punto è che a volte, nella vita, bisogna trovare un equilibrio tra queste tre forze che ci governano, e io credo di aver trovato il mio. Non posso abbandonare Yggdrasil, e tu lo sai; devo tornare ad Ásgarðr, non ho altra scelta. Abbiamo provato a cambiare il destino, abbiamo creduto di aver trovato una via di fuga, ma pare che esista qualcosa più forte di noi dei nell'universo; ti capirò se non vorrai tornare, nessuno vorrebbe essere Höðr, dio dell'inverno, di tutto ciò che è oscuro e freddo, ma io devo andare. Per il bene di tutti, devo smettere di essere Edie, e iniziare a essere Iðunn; Yggdrasil ha bisogno di me-
    Ted la guardò alzarsi dalla sedia in vimini e lanciare un ultimo sguardo al cielo prima di rientrare in casa; lui rimase lì fuori, a contemplare il giorno che faceva capolino, pensando che, forse, Iðunn aveva ragione, che anche lui dovesse imparare a essere Höðr, perché il viaggio più lungo che una persona potesse affrontare, la più grande avventura che potesse vivere, consisteva nell'intraprendere la strada che l'avrebbe portata ad accettare se stessa.
     
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    Irene

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    Un bel fantasy, una storia che tiene in sospeso fino all'ultimo!
    Brava, come sempre. ^^
     
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  4. Foglia d'autunno
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    E' un racconto splendido che raggiunge in certi punti livelli di scrittura altissimi: chapeau.

    t6f
     
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    ::: AniMangaManiaca :::

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    Che dire? Nel poco tempo in cui ho pensato ad una trama per il contest di Ottobre, avevo in mente di scrivere qualcosa che fosse un'avventura all'interno di noi stessi, ma niente di ciò che ideavo mi piaceva minimamente.
    Tu sei riuscita a scrivere proprio ciò che avrei voluto scrivere io: un viaggio alla ricerca del proprio cammino, una serie di eventi che riescono a far comrpendere ai personaggi chi sono e quanto sia giusto accettare se stessi e il destino che li attende.
    Senza contare che le due situazioni in cui Edie si viene a trovare, fungono da allegoria per far comprendere alla protagonista qual è la strada giusta da seguire. Davvero tanti complimenti, è sempre un grande piacere leggerti. :D
     
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    Un bel fantasy!
     
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