Sopra il tempo ed ogni regno, ti saprò ritrovare.

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    Cavaliere di Corte

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    Questo è il primo di una serie di racconti che ho intenzione di scrivere. Sinceramente non saprei definire il genere corretto per questo tipo di racconto, vi dico solo con sicurezza che è fantasy ed introspettivo XD Se qualcuno riesce a farlo entrare in un genere specifico mi farebbe piacere saperlo ^^

    Buona lettura.


    « Sopra il tempo ed ogni regno, ti saprò ritrovare. »

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    « Prima parte. »

    I ricordi come amaranti nei giardini dell’anima, costellazioni erranti dei cieli della memoria, voci melodiose dal passato, stanno sepolti vivi nel cimitero del cuore. Ricordi della giovinezza trascorsa per i campi: case bianche e cipressi neri, viottole tra gli ulivi, nuvole pellegrine sopra ai tetti, spiagge soleggiate, baci timidi tra l’erba alta; ricordi della giovinezza, che cosa volete da me? La mia anima amara e stanca non vi conosce più ormai, dove volete condurla? Il mio cuore si è fatto selvatico e sospettoso, non vuole seguirvi: teme le pazzie ridenti e il rischio. Da questa finestra io tolgo le briglie alla mia fantasia tra i filari delle viti cariche di grappoli acerbi, fra i solchi bruni dietro le siepi polverose: ma io non posso scendere; lascio che sia ella ad inseguirvi come un segugio, o ricordi, ma io non voglio scendere. Cosa direste della mia pallidezza e del mio sorriso avvelenato?

    Una volta sola scesi, cedendo all’invito di due labbra conosciute molto tempo innanzi, attirato da due occhi cerulei, che erano come due specchi per la mia anima e la stessa che volle ancora mirarsi in quel riflesso, non si riconobbe più. Da ciò ebbe origine tutto il male: tutto il male che avvenne dopo.
    Io tornavo dai sentieri lontani, da una guardia vigile e sfiancante, al fulcro palpitante della città del mio popolo col cuore già guasto e corroso. I pini marittimi dondolanti in fila lungo la strada non riconobbero colui che altre volte cercava tra le loro fronde i nidi pigolanti e le cicale; la gente dal mio stesso colore di capelli mormorò un saluto e un inchino cortese; i cani annusarono il mio odore per sentire quanto fosse cambiato… Ma la Luna non brillava più nel cielo da millenni ed io ora ne sentivo nostalgia, poiché Lei, dolce e materna, ricambiava sempre col sorriso ogni mio sguardo. A casa le genti della mia famiglia mi parvero scurite, raggomitolate, perfino i mobili mi sembrò che avessero perduto la loro vernice e si fossero fatti decrepiti. Eppure non ero stato via per molto tempo: avevo sorvegliato i sentieri che portavano al Mondo Esterno e pattugliato i confini oltre le porte di accesso solo per una dozzina di mesi, eppure al ritorno tutto mi sembrò diverso. In realtà ogni cosa mi sembrava diversa da quando sulla mia città non splendevano più né Luna né Sole, ognuno di noi si sentiva più o meno come me, ma nessuno ne faceva parola… Se le guardie avessero sentito saremmo stati portati direttamente dal Re e, ogni volta, chi vi era andato tornava e restava con occhi spenti e sorriso vuoto per interi mesi.
    Quando la mattina successiva al mio rientro mi affacciai alla finestra, annodandomi la fascia rossa in vita, vidi passare per la strada delle ragazze che avevo conosciuto bambine e dei giovani che avevo fatto saltare sulle mie ginocchia, ognuno di loro mi guardava sorpreso e quasi sospettoso come se avessero visto uno straniero. Portava a questo la lontananza da casa, ma la protezione della stessa era più importante. Per questo scelsi di indossare il rosso dei guerrieri. Ma lei quella dagli occhi cerulei e dalle labbra di corallo mi riconobbe, mi salutò e sorrise: quella ragazza era poco più giovane di me eppure non la frequentai quanto gli altri miei coetanei, lei era sopra ognuno di noi. Forse il suo pensiero, come la Luna, mi aveva accompagnato dappertutto. Il mio cuore cambiato sussultò alla sua apparizione repentina: i capelli erano candidi, solo alcune ciocche nere rimanevano sulla sommità del suo capo e poi la sua chioma sarebbe stata completamente bianca e perfetta, questi, alla luce azzurra sostituta del Sole, le ombreggiavano il viso ridente e rivelavano la nudità del suo corpo, poiché anche lei indossava il rosso dei guerrieri ora e l’abito tradizionale dei principianti non lasciava nulla alla fantasia.
    Tuttavia anche lei era mutata: s’era fatta più alta, più muscolosa e più remissiva ancora. Solo gli occhi ridevano, promettenti, come prima. Sapevo che stava continuando col suo addestramento da figlia di re quale era e i suoi maestri l’accompagnavano: una donna le insegnava la buona educazione e il portamento corretto, un uomo venerando ed esile per gli insegnamenti di magia, un’altra donna per le questioni di mente e di vivere comune, infine un altro uomo - che fu a sua volta mio maestro - spesso come una roccia non ancora estratta dal monte per il combattimento. Questo ora la rimproverava perché aveva smesso di ascoltarlo, per guardare me. Lei abbassò gli occhi, si scusò mestamente e riprese con gli insegnamenti. Quanto era sommessa quella ragazza: spesso mi ero chiesto che sorta di regina sarebbe diventata, nel caso in cui gli antichi re avessero scelto lei al posto del fratello, ma in quel momento la mia mente si era come bloccata e i miei occhi ancora vedevano il suo sorriso ammiccante e sincero. Ciò nonostante, idiota, sorrisi! Sorrisi e salutai i miei ricordi, il mio più brillante ricordo, a malgrado di tutto, la giovine dei bei giorni, il mio primo amore.
    Ma perché il mio sorriso durò tanto? Perché divenne lungo e molteplice? Io non riuscii ad interromperlo né a frenarlo: nacque sereno, pieno di passato, poi si aprì promettente e languido e finalmente si estese fino alla tristezza, fino al rimpianto, fino alla disperazione. Perché? Perché il mio cuore mi fece dimenticare in quel momento la natura di lei, natura pericolosa per uno come me, semplice portatore di rosso e figlio di artigiani, portatori di bianco. All’erede al trono andava il figlio di un portatore di nero, i saggi del consiglio reale, ben diverso da tutti gli altri. Finalmente chiusi prudentemente la tenda della finestra e mi ritirai, ma era troppo tardi perché fra la trama del lino verde la vedevo ancora nella strada, ardente, guardare in su e sorridermi di nascosto.

    La sera dopo, mentre ritornavo da una lunga passeggiata su per le colline, l’incontrai in una strada deserta fra due muri. Era sola con un’amica e mi veniva incontro. Tutto il sangue del cuore mi salì al viso. Che dire con un’anima così dolente, così guardinga? E nessuna via d’uscita! Allora l’affrontai e giù a frasi comuni, imbarazzate, racconti sciolti ed inconcludenti, sottintesi oscuri che mi turbavano mentre la lingua li formulava. E lei parlava, discorreva tranquillamente con me, senza imbarazzo e con estrema cortesia. É sempre stata brava nel gioco delle apparenze e, insomma, era stata allevata a dovere per essere abile in quel genere di conversazioni. Al momento di separarci lei ancora sorrideva.
    Un’altra sera, di ritorno dall’allenamento quotidiano, la vidi seduta sulla soglia degli appartamenti reali, circondata da cuginetti piccoli con l’istruttrice di buone maniere accanto; la giovane con lo sguardo m’invitò a sedermi accanto a lei, ma la donnaccia vicina, vigile come sempre, si schiarì eloquentemente la gola e io passai avanti dopo la dovuta riverenza. Chissà perché suo padre aveva limitato al minimo i contatti “ludici” dei suoi due figli... Non che non fosse sempre stata consuetudine dei re passati, ma questo in particolare decise di reciderli nettamente. Solo con la famiglia poteva stare quella ragazza, fino a che non l’avrebbero combinata ad un uomo adeguato. Durante questi brevi incontri serali i suoi occhi mi cercavano sempre più violentemente, mi sorridevano con mille promesse e senza alcuna cerimonia.
    Quando chiuso in camera, finalmente solo e libero, ripensavo a quegli occhi e a ciò che volevano farmi intendere ne ero confuso e spaventato. Come fare? Io l’amavo? Non lo sapevo con certezza: io guardandola non pensavo ad altro che ai suoi occhi, alle sue labbra e al suo corpo. Solo dopo, svoltato l’angolo, arrivava la consapevolezza di chi ella fosse. Cosa voleva dunque da me questa principessa sanguigna? Io non l’avevo che baciata una volta e per gioco, al tempo lontano del nostro amor bambinesco e quel bacio solo risplendeva nella mia mente come un granello di luce ardente dentro il mio passato grigio. Come potevo ora comprendere le sue occhiate roventi che sembravano pregne di ricordi di fuoco?
    Una sera, quando lei era accompagnata dal mio passato maestro di combattimento, lei mi sorrise e l’uomo si stizzì al punto da costringere lei e me - poiché gli allievi rimangono sempre tali fino a quando non battono per sette volte consecutive il loro maestro - a combattere in mezzo alla strada, a mani nude. Il foulard dell’insegnate disegnò il cerchio dove uno di noi avrebbe dovuto costringere l’altro ad uscire per aggiudicarsi la vittoria: era la prassi del combattimento di base. Ma lei non eccelleva in tale disciplina, con i miei stessi occhi avevo visto quanto si lasciasse scoraggiare e battere dagli avversari suoi coetanei e addirittura più giovani. Era la diretta conseguenza del suo comportamento, sempre remissivo o arrendevole e quella volta non fu diverso. Nel giro di un paio di minuti la sbalzai fuori dal cerchio e lei rimase a terra, accasciata come un cerbiatto trafitto da una freccia: sinceramente non lo feci a posta, non pensavo che si sarebbe lasciata manovrare da me a quel modo, ma sicuramente non avrei potuto andarci molto piano o il maestro mi avrebbe punito. Lei si rialzò indenne nel corpo, ma tutt’altro nell’anima e subì a testa bassa tutte le sfuriate dell’insegnante. In me nacque una bestiolina che non seppi riconoscere subito, era alloggiata nelle profondità del mio stomaco e aveva aperto gli occhi per la prima volta proprio in quel momento.
    I miei giorni passarono così: fra gli assalti e il turbamento. A volte però la mia anima si ribellava e per delle settimane intere restavo chiuso in casa come un prigioniero, per non affrontare il pericolo di quegli occhi, annoiato e indispettito, giurando a me stesso di porre un termine a questa farsa, di sbarazzarmi per sempre del ricordo antico e di accettare la realtà presente. Ma quando la vedevo non potevo sottrarmi al fascino dell’immagine del tempo andato e sentivo che il baratro si faceva sempre più profondo sotto i miei piedi.
    Due mesi erano intanto passati in questo alternarsi di attacchi e di capitolazioni, senza recare alcun fatto grave e decisivo. Non le avevo mai parlato da sola e sebbene avvertissi qualcosa di oscuro abbattersi fatalmente sopra di me, io speravo di raggiungere in fretta il termine del mio soggiorno nella casa della mia famiglia per tornare a controllare le vie al Mondo Esterno e stare, così, lontano da lei e da ogni guaio correlato. Non mancava che un mese a quella partenza che già gioivo in cuor mio di esser passato attraverso tanto fuoco senza scottarmi. Ora, quale divinità si divertì tanto con me quel giorno?
    Una sera che sedeva sulla porta di casa sua, fra il meditare distratto del suo maestro di magia e l’odore invitante della ricca cena, approfittando della stessa distrazione del maestro, ella si chinò repentinamente verso di me e mi mise una lettera fra le mani.
    Rientrai in casa con quella lettera che mi bruciava le dita. Per liberarmi dal gran turbamento e quasi dal terrore corsi in camera mia e, al lume della candela dal fuoco freddo, aprii la busta. La lettera diceva così: “Ti sorprenderai se con queste due righe vengo ad importunarti, ma il mio cuore soffre talmente tanto per causa tua che non mi dona pace. Da tanti secoli che ci siamo lasciati non ho potuto dimenticarti e ogni volta che ti rivedo il mio amore diventa sempre più grande. Tante volte ho cercato di ragionare con quell'organo riottoso, ma non ho mai potuto trovare sollievo. Ogni notte, da quando sei tornato, ti sogno. Ho così tante cose da dirti… Se anche tu mi vuoi un poco bene vieni martedì sera sulla strada accanto al tessitore, picchia tre volte sulla pietra delle mura dei giardini del palazzo e arriverò da te.
    Cosa provava il mio nuovo cuore in quel momento? Pensava ai biglietti innocenti e allo stesso tempo tremendi dell’altra ragazza, la bambina, la principessa cordiale e spensierata che era quando ancora la dolce Regina sua madre era tra noi. O ricordava un’altra lettera, più timida, scritta molti anni addietro con la stessa ortografia e con la stessa firma? I miei battiti accelerati erano di rabbia contenuta o erano un’eco dei battiti nati allora?
    Restai pensieroso per un pezzo a guardare quella povera carta sgualcita, che lei aveva portato chi sa per quanti giorni in seno, aspettando l’occasione di consegnarmela, poi m’alzai e la bruciai sulla fiamma assicurandomi che nemmeno un angolo rimanesse integro. Decisi di non andare all’appuntamento.

    Ma chi può dirmi perché ci andai? Vi andai! Salendo la via che conduceva al muro esterno del giardino reale, la mente vuota per evitare di farmi domande scomode o prendermi a schiaffi per farmi rinvenire, sentivo gli uccellini cinguettare allegramente senza che la loro allegria mi contagiasse. Era verso il tramonto, la luce emanata dalla stella azzurra sospesa sopra la città era così diversa dal Sole, eppure ci donava le medesime sfumature: i poggi lontani erano violetti e turchesi, quelli vicini erano come vestiti da un mantello d’oro, sul loro dorso i cipressi ardevano come fiaccole mentre per i borghi si allungavano le ombre. Battei come ordinato e lei mi saltò, letteralmente, davanti «Allora sei agile davvero!» mi lasciai sfuggire; lei mi sorrise tacitamente invitandomi con gli occhi a seguirla. Quella bestiolina che era nata nel mio stomaco ora aveva occhi e orecchie solo per lei e il suo sorriso, la stessa mi portò a seguirla ovunque mi avrebbe portato. Per un bel pezzo non facemmo parola, lei mi portò ad arrampicarmi su di un statua, un colosso, di pietra alto come una montagna: io ero nettamente più abile di lei, come di qualunque mio coetaneo e spesso la aiutai a salire o a muoversi tra gli appigli. Nessuno mi aveva mai ispirato tanta premura e chi l’avrebbe mai detto che quel qualcuno, un giorno, forse, avrebbe regnato sopra tutti noi altri? Questa volta però non mi sentivo imbarazzato, nemmeno quando, raggiunta una nicchia al riparo da ogni possibile sguardo, mi sedetti vicino a lei. Forse era il posto, dalla vista talmente bella da toglierti il fiato, forse l’ora e la luce particolari, forse l’anima antica della nostra terra che trionfata ancora una volta su tutto, o forse per altro ancora che adesso non so dire, tutto mi sembrava straordinariamente naturale e magnifico. Per un bel pezzo non fiatai. Mi sdraiai al suo fianco, la roccia piacevolmente tiepida, mentre l’oscurità andava via via avvolgendoci, io mi sentivo felice e mi contentavo di contemplare lei che, ancora seduta di schiena, giocava con le felci vicine. Compresi che quello doveva essere il suo rifugio in cui scappava ogni volta che la vita alla corte reale la opprimeva troppo, il rifugio della principessa dove poteva far finta di essere muta e tranquilla pietra.
    Poi le dissi tutte quelle cose che avevo taciuto all’epoca bella, la incantai con le più soavi parole d’amore, la avvolsi in una carezza infinita, la serrai sul mio petto, la baciai furiosamente sui capelli, sulla fronte, sugli occhi umidi, sulla bocca. Strinsi le sue mani fra le mie col tremito della febbre. L’amai. L’amai disperatamente, la serrai con furia tra le mie braccia, fino a che la notte non ci scese addosso.
    Dopo un'ora o forse dopo un'era ci alzammo per ritornare, eravamo entrambi come storditi, persi nel recente ricordo: soltanto le sue mani avevano ancora un po’ di vita e quelle mani si aggrappavano al mio braccio come se ne dipendesse la sua vita. Fu solo dopo esser sceso dal colosso che compresi quello che avevamo fatto. Cosa sarebbe successo ora? Quali pene avremmo subito? Le nostre menti erano smarrite, lei tremava impaurita, io invece… Tutta l’impazienza, l’allontanamento e l’odio accumulati durante gli ultimi tempi di quella stupida avventura ribollirono nel mio cuore contro costei. Per un attimo pensai di dirle apertamente quanto male mi facesse questa sua ostinazione a far crescere un sentimento che non sarebbe dovuto nemmeno nascere, le volli dire che non l’amavo, che tutto quello che le avevo detto un momento fa non l’avevo pensato veramente, che avevo solo colto l'attimo, che mi ero solo approfittato di lei, che doveva lasciarmi finalmente tranquillo, che doveva aprire gli occhi e capire che non eravamo fatti l’uno per l’altra, che il nostro amore era non solo impossibile, ma anche incredibilmente dannoso.
    Ma il mio cuore non riuscì a mentirle e ferirla oltre ogni misura. Le dissi solo che troppe erano le difficoltà per amarsi, che avremmo rischiato pericoli gravi, se non mortali, che pensasse al suo futuro da reggente, che si accontentasse di vedermi ogni tanto e di sapere che le volevo bene come prima, che non mi scrivesse, non si compromettesse… Col senno di poi, parlai a vuoto. Mentre discorrevo lei camminava in silenzio, ma le sue mani stringevano il mio braccio con una forza che non le avevo mai riconosciuto, quasi mi fece gridare dal dolore e, nell’oscurità, i suoi occhi li sentivo fissi su di me ed ardenti come quelli di una tigre.

    Alcune ore dopo la nostra separazione, scontento, turbato e avvilito, mi affrettavo verso casa fra le ombre della notte calda, quando un baccano di voci e d’urli isterici mi fece arrestare sospettoso in mezzo alla strada. Tesi l’orecchio e riconobbi la voce di lei e quella di tutti i suoi tutori. Bastarono le poche parole che mi portò il vento, minacce e insulti, per chiarirmi a sufficienza su ciò che accadeva: avevano scoperto tutto! Stetti in forse solo un momento, ma no, non potevo tirarmi indietro. Senza indugiare oltre avanzai, non ero ancora giunto sul luogo che mi apparve l’enormità dello scandalo e la difficoltà di rimediarvi: dinanzi al portone che dava accesso agli alloggi reali si stringeva una corona di persone di tutti i tipi, con la bocca aperta e le orecchie ben tese, io mi unii a loro senza essere notato. Oltre le teste vidi i volti sconvolti e infuriati dei quattro saggi ed ognuno di loro frenava le mani, ma non le parole. Io abbassai lo sguardo e la vidi: elegante e ferma, in ginocchio, nella pozza di luce azzurra, le mani aperte e non tese sulle ginocchia, la testa dritta, lo sguardo fisso davanti a sé, il tremore di prima era come se non fosse mai esistito. Senza esserne consapevole mostrava e provava per la prima volta la sua vera forza, che nessuno avrebbe mai nemmeno sospettato che quella ragazza possedesse. Nessuno degli anziani si risparmiò in parole e minacce e, quando il mio maestro alzò una mano per assestarle un bel pugno sulla testa, io mi mossi in avanti per fermarlo, preso da una rabbia che mi ero sempre sforzato di dominare, ma una forza invisibile mi afferrò alle gambe e m’impedì di muovere muscolo. Tornando a guardare lei vidi che l'indice sinistro si era alzato: mi aveva bloccato le gambe con una qualche specie di sortilegio, ma fu solo un attimo perché, in quell’esatto momento, fece la sua entrata il Re. Il caldo della notte sparì, lasciando posto al gelo più pungente. Ognuno di noi, tutori e lei compresa, si fece mille volte più piccolo ed insignificante a suo confronto. La sua voce tuonò imponente e la tutrice, chinata e tremante, spiegò che la principessa era improvvisamente sparita e che sospettassero che avesse trascorso quel tempo con qualche giovane. Per tutta risposta il Re chiese come avesse fatto la principessa ad eludere la sorveglianza che era loro affidata. E nessuno dei quattro fiatò più. Lei, che per tutto quel tempo era rimasta ferma e impassibile, come se le parole dei suoi tutori le scivolassero addosso, ora rispondeva con voce sicura al padre. Confessò di aver scavalcato il muro di cinta e aver passato il tempo in solitudine a fare prove di una magia di sua invenzione che, però, stava ancora sperimentando. Lui le chiese di darne prova e lei eseguì: avanzò la sinistra, i muscoli rilassati come se stesse per accarezzare un cagnolino, poi con uno scatto materializzò un pugnale d’oro dal nulla e, senza toccarlo, lo indirizzò fulmineo al cuore del padre. Ci furono urli, strilli, respiri trattenuti che risucchiarono tutta l'aria nel raggio di chilometri, ma il Re non si mosse e ad un suo sguardo il pugnale divenne polvere sul terreno. Io fui l’unico a notare lo scambio di sguardi e le differenti luci negli occhi del padre e della figlia, in comune avevano una certa soddisfazione e un’aria sinistra: lui sembrò quasi contento, come se fosse accaduto qualcosa che attendeva da tempo, mentre lei… In lei era nato il fuoco che l’avrebbe accompagnata per tutto il resto della vita, che l’avrebbe fatta trionfare in ogni singola battaglia, che l’avrebbe spinta a continuare a rialzarsi, ad andare avanti nonostante tutto. Un fuoco che, però, nulla aveva a che fare con la rabbia o l’odio del suo futuro demone. Lei che non aveva mai osato alzare nemmeno il più piccolo sussurro contro uno dei suoi tutori, lei che da tempo non guardava più negli occhi suo padre, ora mostrava le sue zanne. La tigre mostrava le sue zanne. Il Re congedò tutti e nessuno esitò ad eseguire.
    Il giorno dopo si guadagnò il nome di “Tigre” dal maestro di allenamento: aveva tirato fuori gli artigli. In lei qualcosa era scattato la sera precedente ed ora combatteva come non aveva mai fatto. Quel giorno per la prima volta batté suo fratello, chiamato “Leone” e lasciò di sasso chiunque osservò lo scontro: lei, grande un quarto del fratello, lo sbalzò fuori dal cerchio dopo pochi secondi sfruttando la foga del ragazzo per sbilanciarlo. Dopo di lui toccò ad altri tre subire la stessa sorte. Aveva ancora molto da imparare, ma il maestro da quel giorno la fece combattere contro i suoi allievi più grandi ed abili e anche loro, nonostante tutto e con immensa sorpresa, trovarono una degna avversaria.

    Poco dopo giunse la notte prima della mia partenza, io non ebbi l’occasione di rincontrarla e non sapevo se gioirne o disperarmi: la mia mente era sollevata di potersi finalmente togliere da una situazione tanto spinosa, ma sia il mio corpo che il mio cuore la bramavano ancora una volta e, dopo, altre cento, mille volte. Arrivata la sera però, dopo averla pensata per tutto il giorno, mi sentii la testa scoppiare e decidesi di non crucciarmi più, di dedicarmi solo ed unicamente agli ultimi preparativi per la mia partenza imminente. E funzionò, funzionò eccome. Durante il mio ultimo giorno di permanenza l’immagine di lei era come sparita dai miei occhi, ma, la sera, fissando la luce azzurra della candela accanto al mio letto, mi tornarono in mente i suoi occhi cerulei e non ebbi modo di acquietare il mio animo. La belva nel mio stomaco, che avevo appena iniziato a conoscere, guaiva ferita fin da quella fatale sera. Dopo quelle che a me parvero ore un refolo di vento spense la fiamma e fece piombare la mia stanza nel buio più oscuro, troppo oscuro, pensai. Mi tirai su, allarmato da quelle ombre innaturali, tentando invano di scorgere dettagli nell'oscurità. Una mano, morbida e delicata, mi sfiorò la guancia e il mio cuore sussultò quando sentii il profumo di lei riempirmi le narici «Come hai fatto a…?» Mi posò un indice sulle dita e sussurrò: «Non preoccuparti, come ho bloccato te posso bloccare altri. Ma ora siamo soli.» La luce azzurra prodotta dai nostri pendenti era appena sufficiente per permetterci di vedere i nostri volti… Fu una notte meravigliosa, che non dimenticherò mai né in questa vita né nelle prossime. In quella notte mi innamorai perdutamente di lei. La strinsi a me e la baciai proprio come feci la volta precedente, ma ora c’era premura nei miei gesti e non desideravo più solo il suo corpo: desideravo la sua anima, desideravo proteggerla da tutti gli orrori del mondo e, forse, per una notte vi riuscii.
    Al mio risveglio, prima dell’alba, lei era sparita, ma il suo profumo esitava tra le lenzuola candide. Non era stato un sogno e io la amavo. Quella mattina fu radiosa e straziante allo stesso tempo, come ogni primo amore che si rispetti riempie la vita di luce e gioia, ma io ero anche preoccupato perché lei sarebbe stata alla mercé di suo padre e della sua corte senza nessuno a cui chiedere aiuto. Sarei stato via per altri dodici mesi e chissà cosa avrei trovato al mio ritorno…





    Aggiornamento del 7/01/2016: Volevo dirvi che ho aggiornato il racconto inserendo un'itroduzione (che non so se può essere ancora tecnicamente e lecitamente chiamata "introduzione" perché è di 4 pagine, per un racconto di 8), vi passo il link del pdf che potete scaricare da dropbox: https://www.dropbox.com/s/d23op8tmaqsvuj1/...gnoPDF.pdf?dl=0

    Edited by Tonari no kokoro* - 7/1/2016, 12:17
     
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  2. Foglia d'autunno
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    Comincio con farti i miei complimenti per il modo in cui scrivi che non esito a definire eccelso.
    Tutta la prima parte, quella introspettiva, a buon titolo rientra nella prosa poetica.

    Di fatto solo una parte è Fantasy, quella dedicata alla magia. Il resto rientra nel genere Romantico.
    Per questo definirei la composizione come "Romantic Fantasy"; in parte è anche "S.&.S." (Sword and Sorcery) ma, a mio giudizio, per ritenerla veramente tale, ci sarebbero voluti sia più combattimenti che magia.

    In questo campo però l'esperto è Erendal, quindi aspettiamo di sentire se, riguardo a questo aspetto, è d'accordo.

    Nel frattempo, ti ripeto, ottimo racconto e scrittura di gran livello. :)
     
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    Cavaliere di Corte

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    Piano che mi esalto XD Comunque ti ringrazio per i complimenti ^^
    Andando avanti nella storia (quando mi deciderò a scriverci un vero e proprio libro) ci saranno ben più combattimenti sia fisici che magici perché lei, la ragazza di cui parla, userà entrambi gli stili di combattimento mentre lui resterà sempre più per il sotterfugio, tipo avvelenamento o armi a distanza. È comunque di fondo, sì, sarà sempre un minimo romantico =]
    Appena avrò risparmiato qualcosa seguirò un corso di scrittura creativa, tra scrivere un racconto o scrivere un libro c'è una bella differenza eheh
     
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  4. Foglia d'autunno
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    Sono sicuramente mooooooooooooolto più grande di te come età: l'idea di scrivere un romanzo non mi ha mai sfiorato, quella di un libro che comprenda racconti di media lunghezza un pochino, ma solo perché potrei assemblare cose già pronte. :)
    Credo che la pazienza e il tempo che occorre dedicare a un libro sia davvero tanta, soprattutto se il tempo va recuperato su giornate piene di impegni, che si tratti di studio o lavoro, che già richiedono un bel po' di energia mentale.
    Riguardo ai complimenti sulle modalità di scrittura sono sinceri: sin dalle prime righe mi hai suscitato ammirazione.
    La scrittura creativa è interessante perché obbliga a rispettare i "paletti"; non ho mai fatto corsi ma ho partecipato a un contest: come sia andato ancora non lo so, ma il lavoro mi ha soddisfatto comunque e scrivere il pezzo mi ha molto divertita, che poi è la cosa essenziale.
     
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    Bellissimo stile descrittivo, a tratti m isembrava di leggere Tolkien. Di sicuro l'immaginazione e la fantasy non ti mancano, e questo è un bel fantasy classico in piena regola. L'idea di farne un romanzo mi sembra molto buona, così potrai alternare descrizione/azione/trama in maniera completa. Bellissimo scritto.
     
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    Cavaliere di Corte

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    Che dire! Io ho sempre pensato ad un Fantasy diverso, tipo quello del " Signore degli Anelli " l'unico libro che ho letto di questo genere che penso che sia un Fantasy; forma il fantasy alla quale, forse causa la mia età non sono mai riuscito ad avvicinarmi con entusiasmo, tanto è vero che non parteciperò a questa luna perchè non mi sento in grado di farlo.
    Ma se Fantasy è anche questo che hai scritto tu, non posso altro che dire che ho sbagliato a non leggerlo; questo tuo scritto, mi ha emozionato tantissimo e altrettanto fortemente intrigato.
    Complimenti.
     
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    Avventuriero

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    A me sembra un copione pronto per un monologo teatrale, perché questo (tuo) è ciò che si chiama interiorizzare e trasmettere le emozioni a fiotti e a ondate, senza filtri né artifizi.

    Questa frase mi ha fatto spalancare la bocca, e lì sono rimasto per un intero minuto:
    In me nacque una bestiolina che non seppi riconoscere subito, era alloggiata nelle profondità del mio stomaco e aveva aperto gli occhi per la prima volta, proprio in quel momento.

    Prosaico, sì, molto, a tratti troppo (solo per i miei gusti, s'intende) ma con un'eleganza narrativa e linguistica che supera tutti i filtri e ti giunge dritto all'anima.
    Quando un lettore rivive in un autore cose di sé (uguali al vissuto intimo), significa che l'autore ha talento. Non ho dovuto interpretare nulla, perché chi, come te sa scrivere, mi cattura e mi mantiene calamitato alle righe.

    Ora puoi tornare al tuo colore solito e passare alla modalità ascoltatore ;) : ci sono molte cose che andrebbero riviste, ma ti assicuro che si tratta solo della formattazione dei paragrafi, a partire da una bella dose di capoversi in più. Così serrato, il testo è difficoltoso alla fruizione.

    Se vuoi, posso mostrarti come potresti suddividerlo.

    AxumProprioAppagato
     
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    Scusatemi, non vi ho potuto rispondere prima perché stavo dando esami ^^

    @Foglia d'autunno: sono più che consapevole che ci vorrà molto tempo e davvero tanto impegno, ma se non scrivo questa storia mi prudono le mani XD sento proprio il bisogno di scriverla.

    @Miss Loryn: non esageriamo XD Tolkien l'ho letto troppo poco e siceramente non mi piace nemmeno tanto come scrive, non è per niente un stile che mi rispecchia, comunque ti ringrazio per i complimenti ^^ davvero!

    @Al44to: di fantasy ne esistono veramente tanti generi, magari a te non piacciono quelli in stampo Tolkien (elfi, nani, ecc... che spesso sono tutti uguali) se davvero riesco a farti avvicinare al fantasy con quello che scrivo per me sarebbe una grande gioia =)

    @Axum: sì, me lo hanno già detto di fare meno grattacieli di paragrafi :D ti cntatto in mp così non intasiamo la discussione.

    Un grande GRAZIE a tutti quanti per i bellissimi complimenti =D mi avete risollevto di tanto l'umore.
     
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    E allora mi aggiungo anche io a risollevare ancora di più (spero) il tuo morale. Anche a me è piaciuto molto il tuo racconto. Ogni passaggio scorre liscio,e soprattutto denota una terminologia ed una consocenza del mondo fantasy approfondita.
    Prendi questo tuo passo:
    CITAZIONE
    Il giorno dopo si guadagnò il nome di “Tigre” dal maestro di allenamento: aveva tirato fuori gli artigli. In lei qualcosa era scattato la sera precedente ed ora combatteva come non aveva mai fatto. Quel giorno per la prima volta batté suo fratello, chiamato “Leone” e lasciò di sasso chiunque osservò lo scontro: lei, grande un quarto del fratello, lo sbalzò fuori dal cerchio dopo pochi secondi sfruttando la foga del ragazzo per sbilanciarlo. Dopo di lui toccò ad altri tre subire la stessa sorte. Aveva ancora molto da imparare, ma il maestro da quel giorno la fece combattere contro i suoi allievi più grandi ed abili e anche loro, nonostante tutto e con immensa sorpresa, trovarono una degna avversaria.

    Stupendo. Si legge la scena, si vede la scena; si assapora la vittoria della "Tigre".
    Giù il cappello Tonari, finora per me il acconto migliore è il tuo.
     
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    CITAZIONE (Tonari no kokoro* @ 13/11/2015, 09:55) 
    Scusatemi, non vi ho potuto rispondere prima perché stavo dando esami ^^
    [...]
    @Axum: sì, me lo hanno già detto di fare meno grattacieli di paragrafi :D ti cntatto in mp così non intasiamo la discussione.
    [...]

    Ciao,

    non farlo in privato: se tu volessi che ti mostrassi la suddivisione, dovremmo farlo qui, perché il mio intervento potrebbe risultare utile anche a chiunque altro legga questo topic "da oggi in poi".
    La mia funzione qui è meramente quella di aiutare chiunque e comunque per mezzo di consigli mirati.

    Rinnovo il mio apprezzamento !
     
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    @Eleven Dark: Grazie! Preferisco non descrivere le azioni in ogni minimo dettaglio per due principali motivi: 1 è complicato descrivere un combattimento nei minimi dettagli e frenerebbe la narrazione; 2 voglio lasciare al lettore una sua visione di quello che sta accadendo, questo è un modo, secondo me, di far sviluppare la fantasia altrui.

    @Axum: Ah ok! Allora va benissimo, scrivi pure tutto qui =) Pensavo di intasare la discussione, ma, in effetti, se può essere utile anche ad altri tanto meglio ;)
     
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    Ecco fatto.


    I ricordi come amaranti nei giardini dell’anima, costellazioni erranti dei cieli della memoria, voci melodiose dal passato, stanno sepolti vivi nel cimitero del cuore.
    Ricordi della giovinezza trascorsa per i campi: case bianche e cipressi neri, viottole tra gli ulivi, nuvole pellegrine sopra ai tetti, spiagge soleggiate, baci timidi tra l’erba alta; ricordi della giovinezza, che cosa volete da me? La mia anima amara e stanca non vi conosce più ormai, dove volete condurla? Il mio cuore si è fatto selvatico e sospettoso, non vuole seguirvi: teme le pazzie ridenti e il rischio.
    Da questa finestra io tolgo le briglie alla mia fantasia tra i filari delle viti cariche di grappoli acerbi, fra i solchi bruni dietro le siepi polverose: ma io non posso scendere; lascio che sia ella ad inseguirvi come un segugio, o ricordi, ma io non voglio scendere. Cosa direste della mia pallidezza e del mio sorriso avvelenato?

    Una volta sola scesi, cedendo all’invito di due labbra conosciute molto tempo innanzi, attirato da due occhi cerulei, che erano come due specchi per la mia anima, e la stessa che volle ancora mirarsi in quel riflesso, non si riconobbe più.
    Da ciò ebbe origine tutto il male: tutto il male che avvenne dopo.
    Io tornavo dai sentieri lontani, da una guardia vigile e sfiancante, al fulcro palpitante della città del mio popolo col cuore già guasto e corroso. I pini marittimi, dondolanti in fila lungo la strada, non riconobbero colui che altre volte cercava tra le loro fronde i nidi pigolanti e le cicale; la gente dal mio stesso colore di capelli mormorò un saluto e un inchino cortese; i cani annusarono il mio odore per sentire quanto fosse cambiato…
    Ma la Luna non brillava più nel cielo da millenni, ed io ora ne sentivo la nostalgia, poiché Lei, dolce e materna, ricambiava sempre col sorriso ogni mio sguardo.

    A casa, le genti della mia famiglia mi parvero scurite, raggomitolate, perfino i mobili mi sembrò che avessero perduto la loro vernice, e fatti decrepiti. Eppure non ero stato via per molto tempo: avevo sorvegliato i sentieri che portavano al Mondo Esterno, e pattugliato i confini oltre le porte di accesso solo per una dozzina di mesi, ma al ritorno tutto mi sembrò diverso. In realtà ogni cosa mi sembrava diversa da quando sulla mia città non splendevano più né Luna né Sole. Ognuno di noi si sentiva più o meno come me, ma nessuno ne faceva parola…
    Se le guardie avessero sentito, saremmo stati portati direttamente dal Re e, ogni volta, chi vi era andato, tornava e restava con occhi spenti e sorriso vuoto per mesi interi.

    Quando la mattina successiva al mio rientro mi affacciai alla finestra, annodandomi la fascia rossa in vita, vidi passare delle ragazze che avevo conosciuto bambine e dei giovani che avevo fatto saltare sulle mie ginocchia, ognuno di loro mi guardava sorpreso e quasi sospettoso, come se avessero visto uno straniero. Portava a questo la lontananza da casa, ma la protezione della stessa era più importante. Per questo scelsi di indossare il rosso dei guerrieri. Ma lei, quella dagli occhi cerulei e dalle labbra di corallo, mi riconobbe, mi salutò e sorrise: era poco più giovane di me eppure non la frequentai quanto gli altri miei coetanei, lei era sopra ognuno di noi. Forse il suo pensiero, come la Luna, mi aveva accompagnato dappertutto.
    Il mio cuore cambiato sussultò alla sua apparizione repentina: i capelli già candidi, solo alcune ciocche nere rimanevano sulla sommità del suo capo e poi la chioma sarebbe stata tutta bianca e perfetta. Questa, alla luce azzurra, sostituta del Sole, le ombreggiava il viso ridente e rivelavano la nudità del suo corpo, poiché anche lei ora indossava il rosso dei guerrieri, e l’abito tradizionale dei principianti non lasciava nulla alla fantasia.

    Tuttavia anche lei era mutata: s’era fatta più alta, più muscolosa e ancor più remissiva. Solo gli occhi ridevano, promettenti, come prima. Sapevo che stava continuando il suo addestramento da figlia di re quale era, e i suoi maestri l’accompagnavano: una donna le insegnava la buona educazione e il portamento corretto, un uomo venerando ed esile la magia, un’altra donna per le questioni di mente e di vivere comune, infine un altro uomo - che fu a sua volta mio maestro - spesso come una roccia non ancora estratta dal monte, per il combattimento. Questi, ora, la rimproverava perché aveva smesso di ascoltarlo, per guardare me. Lei abbassò gli occhi, si scusò mestamente e riprese con gli insegnamenti.
    Quanto era sommessa quella ragazza: spesso mi ero chiesto che sorta di regina sarebbe diventata, nel caso in cui gli antichi re l'avessero scelta al posto del fratello, ma in quel momento la mia mente si era come bloccata, e i miei occhi vedevano ancora il suo sorriso ammiccante e sincero. Ciò nonostante, idiota, sorrisi! Sorrisi e salutai i miei ricordi, il mio più brillante ricordo, malgrado tutto, la giovine dei bei giorni, il mio primo amore.
    Ma perché il mio sorriso durò così tanto? Perché divenne lungo e molteplice? Io non riuscii ad interromperlo né a frenarlo: nacque sereno, pieno di passato, poi si aprì promettente e languido, e finalmente si estese fino alla tristezza, fino al rimpianto, fino alla disperazione. Perché? Perché il mio cuore mi fece dimenticare in quel momento la natura di lei, natura pericolosa per uno come me, semplice portatore di rosso e figlio di artigiani, portatori di bianco.
    All’erede al trono andava il figlio di un portatore di nero, i saggi del consiglio reale, ben diverso da tutti gli altri. Finalmente chiusi la tenda della finestra con prudenza e mi ritirai, ma era troppo tardi, perché fra la trama del lino verde la vedevo ancora nella strada, ardente, guardare in su e sorridermi di nascosto.

    La sera dopo, mentre ritornavo da una lunga passeggiata su per le colline, l’incontrai in una strada deserta fra due muri. Era soltanto con un’amica e mi veniva incontro. Tutto il sangue del cuore mi salì al viso. Che dire con un’anima così dolente, così guardinga? E nessuna via d’uscita! Allora l’affrontai, e giù a frasi comuni, imbarazzate, racconti sciolti ed inconcludenti, sottintesi oscuri che mi turbavano mentre la lingua li formulava. E lei parlava, discorreva tranquilla con me, senza imbarazzo e con estrema cortesia. É sempre stata brava nel gioco delle apparenze e, insomma, era stata allevata a dovere per essere abile in quel genere di conversazioni. Al momento di separarci lei ancora sorrideva.

    Un’altra sera, di ritorno dall’allenamento quotidiano, la vidi seduta sulla soglia degli appartamenti reali, circondata da cuginetti, con l’istruttrice di buone maniere accanto; la giovane m’invitò con lo sguardo a sedermi accanto a lei, ma la donnaccia vicina, vigile come sempre, si schiarì la gola, forzandola, e io le passai davanti dopo la dovuta riverenza. Chissà perché suo padre aveva limitato al minimo i contatti ludici dei suoi due figli... Non che non fosse sempre stata consuetudine dei re passati, ma questo in particolare decise di reciderli nettamente. Solo con la famiglia poteva stare quella ragazza, fino a che non l’avrebbero combinata ad un uomo adeguato. Durante questi brevi incontri serali i suoi occhi mi cercavano sempre più violentemente, mi sorridevano con mille promesse e senza alcuna cerimonia.

    Quando chiuso in camera, finalmente solo e libero, ripensavo a quegli occhi e a ciò che volevano farmi intendere; ne ero confuso e spaventato. Come fare? Io l’amavo? Non lo sapevo con certezza: io, guardandola, non pensavo ad altro che ai suoi occhi, alle sue labbra e al suo corpo. Soltanto dopo, svoltato l’angolo, arrivava la consapevolezza di chi ella fosse. Cosa voleva dunque da me questa principessa sanguigna? Io non l’avevo che baciata una volta, per gioco, al tempo lontano del nostro amore infantile, e quel solo bacio risplendeva nella mia mente come un granello di luce ardente nel mio passato grigio.
    Come potevo ora comprendere le sue occhiate roventi, che sembravano pregne di ricordi di fuoco?

    Una sera, quando lei era accompagnata dal mio vecchio maestro di combattimento, lei mi sorrise e l’uomo si stizzì al punto da costringere lei e me - poiché gli allievi rimangono sempre tali fino a quando non battono per sette volte consecutive il loro maestro - a combattere in strada, a mani nude. Il foulard dell’insegnate disegnò il cerchio dove uno di noi avrebbe dovuto costringere l’altro ad uscire per aggiudicarsi la vittoria: era la prassi del combattimento di base. Ma lei non eccelleva in tale disciplina, con i miei stessi occhi avevo visto quanto si lasciasse scoraggiare, e battere dagli avversari suoi coetanei e addirittura dai più giovani. Era la diretta conseguenza del suo comportamento, sempre remissivo o arrendevole, e quella volta non fu diverso. Nel giro di un paio di minuti la sbalzai fuori dal cerchio e rimase a terra, accasciata come un cerbiatto trafitto da una freccia: sinceramente non lo feci a posta, non pensavo che si sarebbe lasciata sopraffare in quel modo, ma sicuramente non avrei potuto andarci troppo piano altrimenti il maestro mi avrebbe punito. Lei si rialzò indenne nel corpo, ma tutt’altro nell’anima e subì a testa bassa tutte le sfuriate dell’insegnante.
    In me nacque una bestiolina che non seppi riconoscere subito, era alloggiata nelle profondità del mio stomaco e aveva aperto gli occhi per la prima volta proprio in quel momento.

    I giorni passarono così: fra gli assalti e il turbamento. A volte però la mia anima si ribellava, e per settimane intere restavo chiuso in casa come un prigioniero, per non affrontare il pericolo di quegli occhi, annoiato e indispettito, giurando a me stesso di porre fine a questa farsa, di sbarazzarmi per sempre del ricordo antico e accettare la realtà presente.
    Ma quando la vedevo non potevo sottrarmi al fascino dell’immagine del tempo andato e sentivo che il baratro si faceva sempre più profondo sotto i miei piedi.

    Due mesi erano intanto passati in questo alternarsi di attacchi e capitolazioni, senza recare alcun fatto grave e decisivo. Non le avevo mai parlato da sola e sebbene avvertissi qualcosa di oscuro abbattersi fatalmente sopra di me, io speravo di raggiungere in fretta la conclusione del mio soggiorno nella casa della mia famiglia per tornare a controllare le vie al Mondo Esterno e stare, così, lontano da lei e da ogni guaio correlato. Non mancava che un mese a quella partenza, che già gioivo in cuor mio di esser passato attraverso tanto fuoco senza scottarmi. Ora, quale divinità si divertì tanto con me quel giorno?

    Una sera che sedeva sulla porta di casa sua, fra il meditare distratto del suo maestro di magia e l’odore invitante della ricca cena, approfittando della stessa distrazione del maestro, ella si chinò repentinamente verso di me e mi mise una lettera fra le mani.
    Rientrai in casa con quella carta che mi bruciava le dita. Per liberarmi dal gran turbamento e quasi dal terrore, corsi in camera mia e, al lume della candela dal fuoco freddo, aprii la busta. La lettera diceva così: “Ti sorprenderai se con queste due righe vengo ad importunarti, ma il mio cuore soffre talmente tanto per causa tua, che non mi dona pace. Da tanti secoli che ci siamo lasciati non ho potuto dimenticarti, e ogni volta che ti rivedo il mio amore diventa sempre più grande. Tante volte ho cercato di ragionare con quell'organo riottoso, ma non ho mai potuto trovare sollievo. Ogni notte, da quando sei tornato, ti sogno. Ho così tante cose da dirti… Se anche tu mi vuoi un poco bene vieni martedì sera sulla strada accanto al tessitore, picchia tre volte sulla pietra delle mura dei giardini del palazzo e arriverò da te.
    Cosa provava il mio nuovo cuore in quel momento? Pensava ai biglietti innocenti e allo stesso tempo tremendi dell’altra ragazza, la bambina, la principessa cordiale e spensierata che era quando ancora la dolce Regina sua madre era tra noi. O ricordava un’altra lettera, più timida, scritta molti anni addietro con la stessa ortografia e con la stessa firma? I miei battiti accelerati erano di rabbia contenuta o erano un’eco dei battiti nati allora?
    Restai pensieroso per un pezzo, a guardare quella povera carta sgualcita, che lei aveva portato chi sa per quanti giorni in seno, aspettando l’occasione di consegnarmela, poi m’alzai e la bruciai sulla fiamma, assicurandomi che nemmeno un angolo rimanesse integro. Decisi di non andare all’appuntamento.

    Ma chi può dirmi perché ci andai? Vi andai! Salendo la via che conduceva al muro esterno del giardino reale, la mente vuota per evitare di farmi domande scomode o prendermi a schiaffi per farmi rinvenire, sentivo gli uccellini cinguettare allegramente senza che la loro allegria mi contagiasse. Era verso il tramonto, la luce emanata dalla stella azzurra, sospesa sopra la città era così diversa dal Sole, eppure ci donava le medesime sfumature: i poggi lontani erano violetti e turchesi, quelli vicini erano come vestiti da un mantello d’oro, sul loro dorso i cipressi ardevano come fiaccole mentre per i borghi si allungavano le ombre.
    Battei come ordinato e lei mi saltò, letteralmente, davanti «Allora sei agile davvero!» mi lasciai sfuggire; lei mi sorrise tacitamente invitandomi con gli occhi a seguirla. Quella bestiolina che era nata nel mio stomaco ora aveva occhi e orecchie solo per lei e il suo sorriso, la stessa mi portò a seguirla ovunque mi avrebbe portato. Per un bel pezzo non facemmo parola, lei mi indusse ad arrampicarmi su di un statua, un colosso di pietra, alto come una montagna: io ero nettamente più abile di lei, come di qualunque mio coetaneo, e spesso la aiutai nel salire o a muoversi tra gli appigli. Nessuno mi aveva mai ispirato tanta premura, e chi l’avrebbe mai detto che quel qualcuno, un giorno, forse, avrebbe regnato sopra tutti noi altri?
    Questa volta però non mi sentivo imbarazzato, nemmeno quando, raggiunta una nicchia al riparo da ogni possibile sguardo, mi sedetti vicino a lei. Forse era il posto, dalla vista talmente bella da toglierti il fiato, forse l’ora e la luce particolari, forse l’anima antica della nostra terra che trionfava ancora una volta su tutto, o forse per altro ancora che adesso non so dire, tutto mi sembrava straordinariamente naturale e magnifico. Per un bel pezzo non fiatai. Mi sdraiai al suo fianco, la roccia piacevolmente tiepida, mentre l’oscurità andava via via avvolgendoci. Mi sentivo felice e mi contentavo di contemplare lei che, ancora seduta di schiena, giocava con le felci vicine. Compresi che quello doveva essere il suo rifugio in cui scappava ogni volta che la vita di corte la opprimeva troppo: il rifugio della principessa dove poteva far finta di essere muta e tranquilla pietra.
    Poi le dissi tutte quelle cose che avevo taciuto all’epoca bella, la incantai con le più soavi parole d’amore, la avvolsi in una carezza infinita, la serrai sul mio petto, la baciai furiosamente sui capelli, sulla fronte, sugli occhi umidi, sulla bocca. Strinsi le sue mani fra le mie col tremito della febbre. L’amai. L’amai disperatamente, la serrai con furia tra le mie braccia, fino a che la notte non ci scese addosso.

    Dopo un'ora o forse dopo un'era, ci alzammo per ritornare, eravamo entrambi come storditi, persi nel recente ricordo: soltanto le sue mani avevano ancora un po’ di vita e quelle mani si aggrappavano al mio braccio come se ne dipendesse la sua vita. Fu solo dopo esser sceso dal colosso che compresi quello che avevamo fatto. Cosa sarebbe successo ora? Quali pene avremmo subito? Le nostre menti erano smarrite, lei tremava impaurita, io invece…
    Tutta l’impazienza, l’allontanamento e l’odio accumulati durante gli ultimi tempi di quella stupida avventura ribollirono nel mio cuore contro costei. Per un attimo pensai di dirle apertamente quanto male mi facesse questa sua ostinazione a far crescere un sentimento che non sarebbe dovuto nemmeno nascere, le volli dire che non l’amavo, che tutto quello che le avevo detto un momento prima non l’avevo pensato veramente, che avevo solo colto l'attimo, che mi ero solo approfittato di lei, che doveva lasciarmi tranquillo, che doveva aprire gli occhi e capire che non eravamo fatti l’uno per l’altra, che il nostro amore era, non solo impossibile, ma anche incredibilmente dannoso.
    Ma il mio cuore non riuscì a mentirle e ferirla oltre ogni misura. Le dissi solo che troppe erano le difficoltà per amarsi. Che avremmo rischiato pericoli gravi, se non mortali, che avrebbe dovuto pensare al suo futuro da reggente, che si accontentasse di vedermi ogni tanto e di sapere che le volevo bene come prima, che non mi scrivesse, per non compromettersi…
    Col senno di poi, parlai a vuoto. Mentre discorrevo lei camminava in silenzio, ma le sue mani stringevano il mio braccio con una forza che non le avevo mai riconosciuto, quasi mi fece gridare dal dolore e, nell’oscurità, sentivo i suoi occhi fissi su di me, ardenti come quelli di una tigre.

    Alcune ore dopo la nostra separazione, scontento, turbato e avvilito, mi affrettavo verso casa fra le ombre della notte calda, quando un baccano di voci e d’urla isterichei mi fece arrestare sospettoso in mezzo la strada. Tesi l’orecchio e riconobbi la voce di lei e quella di tutti i suoi tutori. Bastarono le poche parole che mi portò il vento, minacce e insulti, per chiarirmi a sufficienza su ciò che accadeva: avevano scoperto tutto! Stetti in forse solo un momento, ma no, non potevo tirarmi indietro.
    Senza indugiare oltre avanzai, non ero ancora giunto sul luogo che mi apparve l’enormità dello scandalo e la difficoltà di rimediarvi: dinanzi al portone che dava accesso agli alloggi reali si stringeva una corona di persone di tutti i tipi, con la bocca aperta e le orecchie ben tese, io mi unii a loro senza essere notato. Oltre le teste vidi le facce sconvolte e infuriate dei quattro saggi, e ognuno di loro frenava le mani, ma non le parole. Abbassai lo sguardo e la vidi: elegante e ferma, in ginocchio, nella pozza di luce azzurra, le mani aperte e non tese sulle ginocchia, la testa dritta, lo sguardo fisso davanti a sé: il tremore di prima era come se non fosse mai esistito. Senza esserne consapevole mostrava e provava per la prima volta la sua vera forza, che nessuno avrebbe mai sospettato che quella ragazza possedesse.
    Nessuno degli anziani si risparmiò in parole e minacce e, quando il mio maestro alzò una mano per assestarle un pugno sulla testa, io mi mossi in avanti per fermarlo, preso da una rabbia che mi ero sempre sforzato di dominare, ma una forza invisibile mi afferrò le gambe e m’impedì di muovere muscolo.

    Tornando a guardare lei, vidi che l'indice sinistro si era alzato: mi aveva bloccato le gambe con una qualche specie di sortilegio, ma fu solo un attimo perché, in quell’esatto momento, fece la sua entrata il Re.
    Il caldo della notte sparì, lasciando posto al gelo più pungente. Ognuno di noi, tutori e lei compresa, si fece mille volte più piccolo ed insignificante, al suo cospetto. La sua voce tuonò imponente, e la tutrice, chinata e tremante, spiegò che la principessa era improvvisamente sparita e che sospettavano che avesse trascorso quel tempo con qualche giovane. Per tutta risposta, il Re chiese come avesse fatto la principessa ad eludere la sorveglianza che era loro affidata. E nessuno dei quattro fiatò più.
    Lei, che per tutto quel tempo era rimasta ferma e impassibile, come se le parole dei suoi tutori le scivolassero addosso, ora rispondeva con voce sicura al padre. Confessò di aver scavalcato il muro di cinta e aver trascorso il tempo in solitudine, a fare prove di una magia di sua invenzione, che però stava ancora sperimentando. Lui le chiese di darne prova e lei eseguì: avanzò la sinistra, i muscoli rilassati come se stesse per accarezzare un cagnolino, poi con uno scatto materializzò dal nulla un pugnale d’oro e, senza toccarlo, lo indirizzò fulmineo al cuore del padre.

    Ci furono urla, strilli, respiri trattenuti che risucchiarono tutta l'aria nel raggio di chilometri, ma il Re non si mosse e ad un suo sguardo il pugnale divenne polvere sul terreno. Io fui l’unico a notare lo scambio di sguardi e le differenti luci negli occhi del padre e della figlia, in comune avevano una certa soddisfazione e un’aria sinistra: lui sembrò quasi contento, come se fosse accaduto qualcosa che attendeva da tempo, mentre lei… In lei era nato il fuoco che l’avrebbe accompagnata per tutto il resto della vita, che l’avrebbe fatta trionfare in ogni singola battaglia, che l’avrebbe spinta a continuare a rialzarsi, ad andare avanti nonostante tutto. Un fuoco che, però, nulla aveva a che fare con la rabbia o l’odio del suo futuro demone.
    Lei che non aveva mai osato alzare nemmeno il più piccolo sussurro contro uno dei suoi tutori, lei che da tempo non guardava più negli occhi suo padre, ora mostrava le sue zanne. La tigre mostrava le sue zanne. Il Re congedò tutti e nessuno esitò ad eseguire.

    Il giorno dopo si guadagnò il nome di “Tigre” dal maestro di allenamento: aveva tirato fuori gli artigli. In lei qualcosa era scattato la sera precedente ed ora combatteva come non aveva mai fatto. Quel giorno per la prima volta batté suo fratello, chiamato “Leone” e lasciò di sasso chiunque osservava quello scontro: lei, grande un quarto del fratello, lo sbalzò fuori dal cerchio dopo pochi secondi, sfruttando la foga del ragazzo per sbilanciarlo. Dopo di lui toccò ad altri tre subire la stessa sorte. Aveva ancora molto da imparare, ma il maestro da quel giorno la fece combattere contro i suoi allievi più grandi e abili, e anche loro, nonostante tutto, e con immensa sorpresa, trovarono una degna avversaria.

    Dopo un po' giunse la notte prima della mia partenza, non ebbi l’occasione di rincontrarla e non sapevo se gioirne o disperarmi: la mia mente era sollevata: potevo finalmente toglieremi da una situazione tanto spinosa, ma sia il mio corpo che il mio cuore la bramavano ancora una volta e dopo, altre cento, mille volte.
    Però, arrivata la sera, dopo averla pensata per tutto il giorno, mi sentii la testa scoppiare e decisi di non crucciarmi più, di dedicarmi unicamente agli ultimi preparativi per la mia partenza imminente. E funzionò, funzionò eccome.

    Durante il mio ultimo giorno di permanenza l’immagine di lei era come sparita dai miei occhi, ma la sera, fissando la luce azzurra della candela accanto al mio letto, mi tornarono in mente i suoi occhi cerulei e non ebbi modo di acquietare il mio animo. La belva nel mio stomaco, che avevo appena iniziato a conoscere, guaiva ferita, fin da quella fatale sera. Dopo quelle che a me parvero ore, un refolo di vento spense la fiamma e fece piombare la mia stanza nel buio più oscuro, troppo oscuro, pensai. Mi tirai su, allarmato da quelle ombre innaturali, tentando invano di scorgere dettagli nell'oscurità. Una mano, morbida e delicata, mi sfiorò la guancia e il mio cuore sussultò quando sentii il profumo di lei riempirmi le narici «Come hai fatto a…?» Mi posò l'indice sulle dita e sussurrò: «Non preoccuparti, come ho bloccato te posso bloccare altri. Ma ora siamo soli.»
    La luce azzurra prodotta dai nostri pendenti era appena sufficiente per permetterci di guardarci in volto…
    Fu una notte meravigliosa, che non dimenticherò mai, né in questa vita né nelle prossime.
    In quella notte mi innamorai perdutamente di lei. La strinsi a me e la baciai proprio come feci la volta prima, ma ora c’era premura nei miei gesti e non desideravo più solo il suo corpo: desideravo la sua anima, desideravo proteggerla da tutti gli orrori del mondo e forse, per una notte, vi riuscii.

    Al mio risveglio, prima dell’alba, lei era sparita, ma il suo profumo esitava tra le lenzuola candide. Non era stato un sogno e io la amavo. Quella mattina fu radiosa e straziante allo stesso tempo, come ogni primo amore che si rispetti, riempie la vita di luce e gioia, ma io ero anche preoccupato, perché lei sarebbe stata alla mercé di suo padre e della sua corte senza nessuno a cui chiedere aiuto. Sarei stato via per altri dodici mesi e chissà cosa avrei trovato al mio ritorno…

     
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    Da una porta segreta la trasparenza delle stelle.

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    Mi hai letteralmente lasciata a bocca aperta! Ho cominciato a leggere e mano a mano che andavo avanti avevo come l'impressione di sentire la tua voce e l'intonazione che davi alle parole, mi sentivo trasportata dalle tue emozioni, dalle percezioni che hai saputo suscitare in me. Tutta la prima parte ha uno stile poetico che ho trovato ricercato e suggestivo senza tuttavia essere pesante... Un tipo di scrittura che mi attrae tantissimo. Un fantasy atipico perché mescola diversi livelli di scrittura, ma incredibilmente affascinante. Complimenti davvero Tonari!
     
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    Complimenti per lo stile, e per il modo in cui hai dato una svolta al carattere di Lei che da apparente sottomessa, si rivela essere una persona determinata che farà parlare di sé. Mi hanno incuriosito i vari riferimenti al futuro oscuro che attende entrambi, e il modo in cui il tuo protagonista ha raccontato questo episodio mi ha ricordato un po' i noir, con quel tono vagamente malinconico e molto introspettivo.
    Nonostante il racconto sia prevalentemente romantico, sono già presenti molte caratteristiche precise che delineano il mondo e gli eventi in cui si muovono i tuoi protagonisti; credo che sviluppandolo, possa uscire davvero una bella storia fantasy. :D
     
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    CITAZIONE (Deilantha @ 1/12/2015, 21:12) 
    Complimenti per lo stile, e per il modo in cui hai dato una svolta al carattere di Lei che da apparente sottomessa, si rivela essere una persona determinata che farà parlare di sé. Mi hanno incuriosito i vari riferimenti al futuro oscuro che attende entrambi, e il modo in cui il tuo protagonista ha raccontato questo episodio mi ha ricordato un po' i noir, con quel tono vagamente malinconico e molto introspettivo.
    Nonostante il racconto sia prevalentemente romantico, sono già presenti molte caratteristiche precise che delineano il mondo e gli eventi in cui si muovono i tuoi protagonisti; credo che sviluppandolo, possa uscire davvero una bella storia fantasy. :D

    Sono d'accordo, è un racconto romantico e velatamente introspettivo. Ma ha delle sfumature interessanti...
     
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27 replies since 5/11/2015, 13:32   349 views
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