Braccato!

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    Eroe

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    Un cavaliere galoppava veloce nella notte. Aveva lanciato il cavallo a briglia sciolta lungo il sentiero. “Corri, diamine, corri!”, diceva tra sé e sé lanciando occhiate all’indietro. L’oscurità della notte senza luna celava i suoi inseguitori, ma egli sapeva che non potevano essere troppo distanti. “Forza, cavallo!”, diede un altro colpo di speroni e voltò la testa a guardare di nuovo alle sue spalle. D’improvviso, sentì le fronde infrangersi sulla sua testa, fu sbalzato in aria e subito cadde pesantemente a terra, rotolando sul declivio del terreno. Cercò d’arrestare la propria caduta provando ad afferrare qualche appiglio, ma in pochi istanti si trovò completamente immerso in acqua. Cadde sul proprio fianco. Con il braccio alzato riusciva a toccare l’aria oltre la superficie liquida, ma non riusciva a far riemergere la testa: si trovava bloccato, il cavallo gli era precipitato sopra la gamba destra, impedendone i movimenti. “Diamine, non voglio annegare in venti centimetri d’acqua!”, pensò. Raccolse tutte le sue energie e con le braccia e la gamba rimasta libera cercò di spostare la massa del cavallo che lo schiacciava. I suoi sforzi risultavano vanificati dal fondale fangoso che inibiva la spinta operata dai suoi arti. “Forza, diavolo, forza!”. Pensava soltanto alla sopravvivenza.
    Venti secondi passarono. Trenta. Poi una testa emerse dalla superficie dell’acqua e l’uomo respirò a pieni polmoni. Provò a mettersi in piedi, ma la gamba gli cedette. Cadde sul corpo inanimato del cavallo e lasciò riposare il suo corpo. Udì sopra di lui uno scalpiccio ripetuto di zoccoli e delle voci: “Yooo, attenti là dietro, qui la strada piega a sinistra! Rallentate se non volete cadere giù nel torrente! Ormai lo abbiamo in pugno! Avanti!”.
    Mentre il rumore di cavalli al galoppo si allontanava, l’uomo rimase in silenzio nell’oscurità.
    “Se ne sono andati, sono salvo”, pensava. Passò la mano sulla gamba malferma e scoprì con ribrezzo che nella caduta il polpaccio era stato trapassato da un ramo secco, ancora infilzato nella carne.
    “Diavolo, questa non ci voleva”. Si trascinò fuori dall’acqua sulla riva del rigagnolo. “Dovrei asciugarmi e, soprattutto, cauterizzarmi la ferita, ma non posso accendere un fuoco, i miei inseguitori sono ancora nei paraggi ed il bagliore delle fiamme potrebbe rivelare la mia posizione”. Estrasse dalla cintura un coltello: lo usò per allargarsi la ferita nella gamba ed estrarre gran parte del pezzo di legno, anche se probabilmente alcune schegge erano rimaste nella carne. Si tolse la camicia bagnata e se la avvolse intorno alla gamba per fermare l’emorragia. “Aspetterò qualche minuto, poi accenderò il fuoco e farò quel che è necessario”.

    Si svegliò con le luci dell’alba del mattino seguente. La stanchezza lo aveva colto ed aveva sopraffatto l’adrenalina dell’inseguimento. Provò a rimettersi in piedi, ma la gamba non obbediva. “Deve essersi rotta, dannazione!”. Con il coltello, pazientemente tagliò il ramo più basso di un albero e lo adattò a rudimentale stampella. Poi raccolse altra legna ed accese un piccolo fuoco. Il suo corpo presentava molte escoriazioni ed abrasioni a seguito della caduta, ma l’impellenza era cauterizzare la ferita al polpaccio prima che si infettasse: già iniziava a formarsi una brutta purulenza giallognola. Fece arroventare il coltello sul fuoco e bruciò le piaghe della ferita. Poi la rifasciò e coprì le ceneri con la terra.
    Aiutandosi con la stampella, tornò al luogo della caduta. Il cavallo giaceva morto al centro del torrente. L’uomo estrasse dalla sella il fucile e le munizioni, ponendoseli alle spalle. Si chinò a cercare qualcos’altro. Tirò fuori un sacchetto: era vuoto. “Diavolo!”, imprecò l’uomo sbattendo rabbiosamente il pugno sulla superficie dell’acqua: rovistando all’interno del piccolo sacco, ne tirò fuori tre monete d’oro. “Deve essersi aperto nella caduta, il contenuto è sicuramente sparso qui intorno”. Si era buttato carponi a cercare sul fondale del torrente, setacciando il fango con le mani, quando udì delle voci.
    “Non hai trovato niente?”, “No, ancora nulla”, “Proviamo a guardare verso la riva”. Zoppicando, l’uomo uscì dall’acqua e si pose al riparo nella boscaglia. Doveva allontanarsi il più possibile, doveva scappare. Si era già inoltrato nel bosco quando gli arrivarono all’orecchio, portate dal vento e con il favore del silenzio selvaggio, le parole di uno di quegli uomini: “Ehi, guardate: un cavallo morto!”.
    Aveva il fiato mozzo, stava cercando di correre nonostante la gamba azzoppata. “Diamine, non devono raggiungermi”. Si buttò in mezzo ad una macchia di arbusti per nascondersi e riprendere il respiro. Rimase in ascolto, ma non sentì altre voci provenire verso la sua direzione.
    “Non posso restare qua, devo andarmene”. Percorse faticosamente alcune centinaia di metri. “E se quegli uomini non fossero stati alla mia ricerca? Magari erano dei semplici cacciatori… Avrei potuto chiedere a loro di aiutarmi”. Eppure non tornò indietro. Durante la corsa zoppa, il dolore alla gamba si fece lancinante. Cercò di stringere i denti, ma le forze lo abbandonarono e svenne.

    L’esplodere di un acquazzone lo svegliò, tempestandolo di grosse gocce di pioggia. “Io… devo scappare!”, fu il suo primo pensiero. Si ripose in piedi e si incamminò ancora più addentro nel bosco. Fece pochi passi e cadde: era molto debole. Non mangiava né beveva da ore; il suo corpo era inoltre provato dal dolore e dalla febbre che saliva: quella caduta e quel bagno notturno nel torrente non erano stati salutari. “Diavolo! Dove sono? Che direzione ho seguito?”, disse tra sé. Intanto, la pioggia scrosciava e picchiava sul suo petto nudo, pieno di escoriazioni dopo la rovinosa caduta: la camicia, ormai ridotta ad uno straccio, era destinata ad avvolgergli la ferita alla gamba. Il cielo cupo rumoreggiava, lampi abbaglianti squarciavano le nubi al di sopra delle cime degli alberi. “Non posso morire abbandonato come un cane, devo andare avanti!”. Passava la lingua sulle labbra per dissetarsi con la pioggia che gli batteva sul volto. Appoggiato alla sua rozza stampella, avanzava nel folto del bosco.

    Era nel dormiveglia febbrile. Il suo sonno era agitato e sottoposto a bruschi risvegli. In quell’istante, però, il fuggiasco ebbe un presentimento. Qualcuno lo stava osservando. Prese in mano il fucile, che era già carico. Cercò di fissare l’oscurità intorno a sé, provando a cogliere qualche movimento. Infine capì. A fatica si pose in piedi, imbracciando l'arma. I lupi erano a una decina di metri da lui. “Bestiacce del diavolo, statevene lontane!”, ruggì con voce rabbiosa. Quindi premette il grilletto del fucile: non si sentì alcuno sparo. Premette ancora: il colpo rimase in canna. Il sudore gli colava sulla fronte. Rapido un pensiero attraversò la sua mente: “La caduta nell’acqua! Le munizioni si sono bagnate, sono inservibili!”. Capovolse il fucile, prendendolo per la canna come una mazza e iniziò a menare fendenti all’aria: “Avanti bestiacce, volete farvi sotto?”. I lupi lo avevano circondato, ma non avanzavano, mantenendosi ad alcuni metri di distanza. “Via! Via!” urlava l’uomo e, presa una moneta d’oro dalla tasca, la lanciò in direzione di uno degli animali, colpendolo e provocando un breve mugolio. “Via! Via”, continuava ad urlare furiosamente. Constatata la resistenza della possibile preda, i lupi se ne andarono, scivolando nell’oscurità.

    Il bosco era buio. L’uomo continuava a camminare. Appesi ai rami, migliaia di piccoli campanelli d’argento tintinnavano al leggero soffio della brezza in un lugubre concerto. Schifose ragnatele piene di grossi ragni neri pendevano dagli alberi. Il vento aumentò la sua intensità, trasportando le ragnatele in una vorticosa danza spettrale. Il tintinnio si fece insopportabile e l’uomo si svegliò. Un altro sogno delirante! La febbre non accennava a diminuire; anche la ferita nella gamba stava peggiorando per il diffondersi dell’infezione.
    In quell’istante, giunse all’orecchio del fuggitivo un suono di campane: si chiese se stesse ancora sognando, ma, mantenendosi concentrato, avvertiva chiaramente uno scampanio lontano. Con l’ausilio del suo bastone, si diresse il più rapidamente possibile nella direzione da cui gli pareva che il suono provenisse. Dovette camminare a lungo, ma, ormai giunto al limite delle sue forze, arrivò ad una radura in cui si ergeva un santuario. Trascinandosi sul suo appoggio di legno, arrivò quasi strisciando al portale d’ingresso della chiesa, stringendo nella mano un paio di monete ed urlando con quanto fiato aveva nei polmoni: “Aiutatemi, per carità”.

    Quando con gran fatica aprì gli occhi, si trovava sdraiato su un letto all’interno di una stanza. Udì qualcuno mormorare: “Maresciallo, si è svegliato”.
    Un uomo vestito in divisa e con folti baffi neri avanzò nella stanza, posizionandosi di fronte al letto.
    - Sono in un convento? – chiese il degente.
    - Sì. – fu la laconica risposta del maresciallo.
    - E tu sei un carabiniere?
    - Sì.
    Ci furono alcuni secondi di silenzio.
    - E tu sai chi sono io?
    - Sì. Sei Aristide Collarsi, uno dei più temuti briganti del Regno.
    Ci fu un’altra breve pausa. Il carabiniere riprese la parola.
    - Dove hai nascosto la refurtiva?
    - Il denaro? Dovrete cercarlo nel torrente! – esclamò il brigante scoppiando in una risata nervosa.
    - Furfante, non sottrarti alla rivelazione dei tuoi misfatti! Non potrai godere del maltolto!
    - Non puoi arrestarmi, mi trovo in luogo consacrato!
    - Non intendo arrestarti. Non vedi come sei ridotto? Ti è stata amputata una gamba, perché la cancrena era già estesa. E la tua febbre non accenna a diminuire. Ormai sei un uomo finito, destinato a morire.
    Aristide Collarsi si abbandonò sul suo giaciglio, guardando il soffitto. “E allora, a cosa è servito tutto questo?”, mormorò tra sé come in un’estrema confessione.
     
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    Il tuo stile mi piace sempre e questo racconto non fa eccezione. :)
    Forse io avrei enfatizzato maggiormente la parte della rimozione del ramo dal polpaccio inserendo, magari, la descrizione di versi di dolore e simili... ma questo per mio gusto personale.
     
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    Grazie del commento :) Terrò presente la tua osservazione per quel che mi capiterà di scrivere in futuro.
     
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    Ottimo racconto che presenta tutti i crismi dell'avventura... ed anche un po' d'azione. Le descrzioni di ambiente/scene sono curate. C'è adrenalina dall'inizio alla fine. Riguardo la rimozione del ramo dal polpaccio c'è chi quando scrive narrativa vuole far vedere scene forti, e chi invece predilige la descrizione della scena. A me piace anche così... seppur anche io avrei calcato di più la mano su certe scene.

     
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    Hai uno stile piacevole e sei preciso nelle descrizioni; il ritmo incalzante è sostenuto bene fino alla fine. Proprio un racconto da "luna fuggiasca"!
     
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    Complimenti ikebanacka, il tuo racconto vince il sondaggio del mese di maggio.

     
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