Viali esistenziali

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    Viali esistenziali

    24.%20Viali%20esistenziali



    Come uno spettro ancorato, aleggio
    tra lumi elettronici guasti,
    e insieme a quei fuochi lampeggio
    tra erba e cemento, tra duri contrasti.


    Chiese, mercati e licei che silenti
    si stagliano in grigi malesseri,
    percorro il catrame dei nastri
    vuoti di genti, eppur lutulenti.


    Una città ammorbata, amorfa,
    dentro la quale si esiste, ignari.
    E allora che cosa ci resta,
    se non i legacci infiniti
    dentro i percorsi obbligati
    di questi nostri viali esistenziali?
     
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    Domani riscontrerò anche questa, promesso... 🤗
     
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    Viali di notte vuoti e vuoi luminosi, pronti a essere nascosti da piedi e folla urlante di giorno. Come i pensieri alla notte che sono infinitamente più leggeri.
     
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    Adoro le poesie urbane come questa 😍 trovo che il tema si sposi perfettamente con lo scenario.
    Proprio bella.
     
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    CITAZIONE (Fairy Evelin @ 11/4/2024, 19:38) 
    Adoro le poesie urbane come questa 😍 trovo che il tema si sposi perfettamente con lo scenario.
    Proprio bella.

    Grazie! <3
     
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    Mi hai ricordato "Marciapiedi" di Renato Zero, non so se la conosci. C'è anche qualcosina della via Gluck di Celentano. Le immagini danno l'idea della miseria delle nostre attuali città, costruite secondo un piano urbanistico discutibile o addirittura senza di esso, e con manutenzione zero o quasi, vittime dell'incuria, dello scarso senso civico o addirittura della delinquenza: una metafora della nostra stessa esistenza. E così è subito messo in evidenza che sono presenti duri contrasti: i lumi che dovrebbero dare luminosità per definizione sono guasti e sono come fuochi (dunque pericolosi e dalla luce disturbante), l'erba coesiste col suo opposto (il cemento), le strutture presenti si stagliano in grigi malesseri, il catrame e l'aggettivo lutulenti danno un'idea di sporcizia (addirittura in assenza di gente), la città è definita ammorbata e amorfa, e in essa "si esiste", non si vive, che è ben altro.
    In tutto ciò l'autore è nel testo e partecipa di questa negatività: fin dall'inizio si definisce uno spettro ancorato, che aleggia e lampeggia (come se la sua esistenza fosse eterea più che concreta, reale); nella seconda strofa percorre il catrame (bella metonimia), poi nella terza la sua riflessione di da più universale, e forse prende anche le distanze dagli abitanti di questa città spettrale ("si esiste, ignari"), forse perché una realtà che proprio non gli appartiene è l'essere ignaro (e ignavo, aggiungo).
    Gli ultimi quattro versi sono assieme la morale e il messaggio del tutto: l'autore passa dalla prima persona singolare a quella plurale (dopo essere transitato per il si impersonale) e con tre azzeccati connubi di sostantivi con aggettivi esprime la sua visione del "file rouge" che ci lega: pessimista, cruda, fatalista eppure assieme poetica, quasi pasoliniana, la sua visione del mondo: infiniti sono i legacci (versione dispregiativa dei legami), obbligati i percorsi, esistenziali i viali (immagine affascinante e assieme filosofica).
     
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    CITAZIONE (Pecco73 @ 12/4/2024, 09:35) 
    Mi hai ricordato "Marciapiedi" di Renato Zero, non so se la conosci. C'è anche qualcosina della via Gluck di Celentano. Le immagini danno l'idea della miseria delle nostre attuali città, costruite secondo un piano urbanistico discutibile o addirittura senza di esso, e con manutenzione zero o quasi, vittime dell'incuria, dello scarso senso civico o addirittura della delinquenza: una metafora della nostra stessa esistenza. E così è subito messo in evidenza che sono presenti duri contrasti: i lumi che dovrebbero dare luminosità per definizione sono guasti e sono come fuochi (dunque pericolosi e dalla luce disturbante), l'erba coesiste col suo opposto (il cemento), le strutture presenti si stagliano in grigi malesseri, il catrame e l'aggettivo lutulenti danno un'idea di sporcizia (addirittura in assenza di gente), la città è definita ammorbata e amorfa, e in essa "si esiste", non si vive, che è ben altro.
    In tutto ciò l'autore è nel testo e partecipa di questa negatività: fin dall'inizio si definisce uno spettro ancorato, che aleggia e lampeggia (come se la sua esistenza fosse eterea più che concreta, reale); nella seconda strofa percorre il catrame (bella metonimia), poi nella terza la sua riflessione di da più universale, e forse prende anche le distanze dagli abitanti di questa città spettrale ("si esiste, ignari"), forse perché una realtà che proprio non gli appartiene è l'essere ignaro (e ignavo, aggiungo).
    Gli ultimi quattro versi sono assieme la morale e il messaggio del tutto: l'autore passa dalla prima persona singolare a quella plurale (dopo essere transitato per il si impersonale) e con tre azzeccati connubi di sostantivi con aggettivi esprime la sua visione del "file rouge" che ci lega: pessimista, cruda, fatalista eppure assieme poetica, quasi pasoliniana, la sua visione del mondo: infiniti sono i legacci (versione dispregiativa dei legami), obbligati i percorsi, esistenziali i viali (immagine affascinante e assieme filosofica).

    Hai colto gran parte del contenuto... come sempre. :love:


    In apertura, i lumi guasti sono un riferimento ai semafori, che infatti assieme all'Io poetico "lampeggiano", a segnalare appunto il guasto e/o il loro lampeggiare di giallo quando sono talvolta inattivi a tarda notte. Anche l'assenza di gente e l'immagine che ho scelto per la poesia volevano suggerire un aggirarsi di notte nell'area urbana.
    Nella seconda stanza, tra gli edifici ho scelto d'istinto "chiese", "mercati" e "licei", ma poi riflettendoci ho realizzato che come sempre il mio subconscio lavora per me. :laugh:
    Se uno ci pensa, sono strutture che afferiscono ai tre principali punti di riferimento di ogni cultura e società umana sin dai primordi: la religione, l'educazione e lo scambio di merci (ma anche di idee). Si stagliano in grigi malesseri in quanto ormai profondamente corrotti e non più al servizio dell'umanità che li ha creati, ma di sovrastrutture che la soffocano. Basti vedere la finanza internazionale contro l'economia reale, le scuole che indottrinano e distruggono il pensiero critico invece di alimentarlo. Quanto alle religioni, meglio sorvolare, la mia posizione in merito ormai la conoscete. :D
    Probabilmente, visti gli eventi degli ultimi anni, in retrospettiva avrei potuto (e forse dovuto) aggiungere anche ospedali, tribunali e centrali di polizia... ma in fondo si è trattato solo di suggerimenti, dai quali ogni mente libera dovrebbe partire per giudicare autonomamente tutto il resto della società moderna.


    Nota a margine sulla chiusa, che è un po' la cartina di tornasole della nostra vita: sia chi è ignaro che chi non lo è, si ritrova comunque costretto in questi viali della propria esistenza e non ne riesce a evadere, né riesce a modificare tale stato di cose in meglio. Perciò sono passato al "noi". Nel caso degli ignari appunto per mera ignoranza; per tutti gli altri forse in parte per una sensazione di impotenza che paralizza, in parte anche per colpevole indifferenza e menefreghismo ormai endemici (il cosiddetto "guardare solo il proprio orticello").

    Ti ringrazio per il commento approfondito, e anche per i paragoni fin troppo generosi con dei grandi (in questo caso specialmente con Pasolini). :)

    P.S.

    No, quella canzone di Renato non la ricordavo e sono andato ad ascoltarla. Molto bella.

    Edited by Askar - 12/4/2024, 13:26
     
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    Da una porta segreta la trasparenza delle stelle.

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    Piaciuta molto anche a me.
    I duri contrasti di cui parli nella prima strofa si evincono già dal primo verso con quello spettro che è ancorato eppure aleggia. Viene da pensare che quindi sia ancorato al suo malessere ma che si muova comunque nel mondo, anche se "non vivo". E poi i lumi guasti, e accanto ad essi i fuochi dei segnali rotti che sembrano quasi ferite nella notte. Mi hanno fatto pensare a dei colpi inferti ritmicamente.
    Tutto appare molto grigio, asfissiante, spento. Non abbiamo nulla in mano se non un percorso che sembra obbligato e delle catene che ci tengono incastrati in questo scenario quasi post apocalittico. Un luogo dove la vita, quella vera, sembra andata perduta.
     
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    CITAZIONE (Kira~ @ 13/4/2024, 18:50) 
    Piaciuta molto anche a me.
    I duri contrasti di cui parli nella prima strofa si evincono già dal primo verso con quello spettro che è ancorato eppure aleggia. Viene da pensare che quindi sia ancorato al suo malessere ma che si muova comunque nel mondo, anche se "non vivo". E poi i lumi guasti, e accanto ad essi i fuochi dei segnali rotti che sembrano quasi ferite nella notte. Mi hanno fatto pensare a dei colpi inferti ritmicamente.
    Tutto appare molto grigio, asfissiante, spento. Non abbiamo nulla in mano se non un percorso che sembra obbligato e delle catene che ci tengono incastrati in questo scenario quasi post apocalittico. Un luogo dove la vita, quella vera, sembra andata perduta.

    Grazie Kira. :sweethug:
     
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    Ogni città o paese ha la sua storia, e tu l'hai espressa con estrema durezza ma anche con un pò di malinconia, però sei stato bravo ad associare la storia di una città alla propria esperienza personale, molto bella!
     
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    CITAZIONE (Regina D'Autunno @ 13/4/2024, 20:04) 
    Ogni città o paese ha la sua storia, e tu l'hai espressa con estrema durezza ma anche con un pò di malinconia, però sei stato bravo ad associare la storia di una città alla propria esperienza personale, molto bella!

    Regina. :cappello:

    In realtà mi sono tenuto sul vago volontariamente, senza specificare a quale città mi riferissi, proprio perché ogni lettore/lettrice potesse rivederci magari la propria. E anche perché la "civilizzazione" nei paesi industrializzati e un po' uguale dappertutto. La poesia voleva essere anche un richiamo a Terre Desolate, in cui Thomas Eliot esprime la decadenza dell'ambiente urbano che corrompe anche coloro che vivono al suo interno.
    Comunque grazie per essere passata. ^_^
     
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    Prego...
    E ti ringrazio per la precisazione 🤗
     
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    C'è un eco dannunziano alla "Le città terribili" che mi è molto piaciuto (sì, ho colto anche Eliot, ma Eliot mi sta in culo, lui e quell'altro furbone di Montale :laugh: ) :

    (...)
    Gloria delle città
    terribili, quanto a vespro
    s’arrestano le miriadi
    possenti dei cavalli
    che per tutto il giorno
    fremettero nelle vaste
    macchine mai stanchi,
    e s’accendono i bianchi
    globi come pendule lune
    dìtra le attonite file
    dei platani lungh’esse
    le case mostruose
    dalle cento e cento occhiaie,
    e i carri sulle rotaie
    stridono carichi di scoria
    umana scintillando
    d’una luce più bella
    che la luce degli astri,
    e ne’ cieli rossastri
    grandeggiano solitarie
    le cupole e le torri!

    (...)

    La tua è una poesia italico-decadentista in piena regola, con una piacevolessima rifinitura espressiva che nulla toglie alla genuinità dell'intima riflessione. Sebbene nella tua poetica non manchi mai l'elemento fichtiano del conflitto Io vs anti-Io, qui il tema è declinato in maniera più intimistica, dove l'ambiente esterno è letteralmente una coralità di vuoto e di orrore o, più precisamente, è una coralità quotidiana trasfigurata in una lente lovecraftiana.

    L'irrazionale, il caos, elementi contro cui la ragione si batte e non sempre vince.

    PS: concordo, l'inconscio fa tanto, a volte mi chiedo davvero quanto sia pieno il controllo che un autore ha su quello che scrive... quando la Musa ordina, a volte non si ha altra scelta che obbedire.
     
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    CITAZIONE (Tulit-Fert-Feret @ 16/4/2024, 17:47) 
    C'è un eco dannunziano alla "Le città terribili" che mi è molto piaciuto (sì, ho colto anche Eliot, ma Eliot mi sta in culo, lui e quell'altro furbone di Montale :laugh: ) :

    Certo però... Foscolo, Montale, mo' pure Eliot. Che t'avranno mai fatto? :laugh:

    Comunque anche se lo studiai in modo molto marginale e superficiale, al liceo Eliot non mi dispiacque, pur essendo obiettivamente inferiore ad altri poeti anglofoni. Lo portai alla maturità per letteratura inglese, dato che la mia tesina era "La moralità", e in italiano portai D'Annunzio, che come uno stronzo dovetti studiare di sfuggita e di straforo perché nel programma non ce l'avevano manco messo (in quel periodo lavoravo pure in spiaggia per tirare su qualche soldo, pure sotto esami). D'altronde era scientifico indirizzo linguistico... ma visto che in latino facevo abbastanza schifo, forse è meglio che non abbia frequentato il classico. Il greco mi avrebbe polverizzato. :laugh:

    CITAZIONE (Tulit-Fert-Feret @ 16/4/2024, 17:47) 
    (...)
    Gloria delle città
    terribili, quanto a vespro
    s’arrestano le miriadi
    possenti dei cavalli
    che per tutto il giorno
    fremettero nelle vaste
    macchine mai stanchi,
    e s’accendono i bianchi
    globi come pendule lune
    dìtra le attonite file
    dei platani lungh’esse
    le case mostruose
    dalle cento e cento occhiaie,
    e i carri sulle rotaie
    stridono carichi di scoria
    umana scintillando
    d’una luce più bella
    che la luce degli astri,
    e ne’ cieli rossastri
    grandeggiano solitarie
    le cupole e le torri!

    (...)

    Mizzega, valà che fico! Mi sa che me lo debbo leggere tutto il vate. :woot:

    CITAZIONE (Tulit-Fert-Feret @ 16/4/2024, 17:47) 
    La tua è una poesia italico-decadentista in piena regola, con una piacevolessima rifinitura espressiva che nulla toglie alla genuinità dell'intima riflessione. Sebbene nella tua poetica non manchi mai l'elemento fichtiano del conflitto Io vs anti-Io, qui il tema è declinato in maniera più intimistica, dove l'ambiente esterno è letteralmente una coralità di vuoto e di orrore o, più precisamente, è una coralità quotidiana trasfigurata in una lente lovecraftiana.

    L'irrazionale, il caos, elementi contro cui la ragione si batte e non sempre vince.

    L'ho detto io, che sono un idealista cinico venato di romanticismo decadente... :laugh:

    Ammetto senza un briciolo di vergogna di aver studiato Fichte al liceo, ma di non ricordare una beneamata mazza del suo pensiero filosofico. :D

    Diciamo che l'idea di base era quella di dipingere in primo luogo l'ambiente urbano ("civilizzato") come il suo opposto, cioè un luogo che porta invece alla disumanizzazione e al degrado di chi ci vive dentro. E in seconda battuta, suggerire l'inevitabilità (o l'apparente inevitabilità per i meno pessimisti) di tale processo, con coloro che lo vivono che ne sono al contempo gli artefici e le vittime. E dalla definizione di "Io e anti-Io", vista l'ambivalenza, mi sembra una lettura validissima. Che ci vuoi fare, sono conflittuale al massimo, un coacervo di paradossi.
    Stavolta però devo ammettere che Lovecraft non era nei miei pensieri mentre la scrivevo. :laugh:


    P.S.

    Ti sto dando un bel da fare, al ritmo con cui pubblico, per un po' darò tregua al forum... anche se muoio dalla voglia di sapere che ne pensi dei miei ultimi esperimenti con la metrica barbara. Magari più in là li posto. :laugh:
     
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    Certo però... Foscolo, Montale, mo' pure Eliot. Che t'avranno mai fatto? :laugh:

    Foscolo: falsone neoclassico.

    Montale e Eliot: mi immagino che le cose siano andate così...

    *dissolvenza tipo flashback*

    Montale: oh!

    Eliot: oh! La facciamo una cosa figa?

    Montale: dimmi zio.

    Eliot: Hai presente la metafora? Chiamiamola correlativo oggettivo e minchioniamo tutti.

    Montale: sì, mi piace, magari diciamo che è "oggettivo" perché fra' il poeta è portatore di verita assolute.

    Eliot: troppo togo zio, passeremo alla storia per grandi poeti e ci studieranno a scuola.

    Montale: ahahaha troppo avanti fra', ora dammi un attimo che devo finire di sputtanare D'Annunzio dopo che ho copiato a mani basse.

    *dissolvenza, si ritorna al presente*

    CITAZIONE
    Comunque anche se lo studiai in modo molto marginale e superficiale, al liceo Eliot non mi dispiacque, pur essendo obiettivamente inferiore ad altri poeti anglofoni. Lo portai alla maturità per letteratura inglese, dato che la mia tesina era "La moralità", e in italiano portai D'Annunzio, che come uno stronzo dovetti studiare di sfuggita e di straforo perché nel programma non ce l'avevano manco messo (in quel periodo lavoravo pure in spiaggia per tirare su qualche soldo, pure sotto esami). D'altronde era scientifico indirizzo linguistico... ma visto che in latino facevo abbastanza schifo, forse è meglio che non abbia frequentato il classico. Il greco mi avrebbe polverizzato. :laugh:

    A giudicare dalla velocità con cui padroneggi la metrica barbara, secondo me avresti padroneggiato pure il greco e saresti stato il terrore della scuola :laugh:
    Secondo me se facevamo scuola insieme ci avrebbero sospeso per cattiva condotta :laugh:

    CITAZIONE
    Ammetto senza un briciolo di vergogna di aver studiato Fichte al liceo, ma di non ricordare una beneamata mazza del suo pensiero filosofico. :D

    Riassuntone banalizzante: le tenebre (l'anti-Io) servono affinché la luce (l'Io) risplenda.
     
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