Il gigante malefico

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    I nomadi (parte prima)

    Siamo intrappolati in un pianeta oscuro dove la vita è un soffio d'inverno lungo le cime più lontane. I nostri sguardi si incontrano ma i nostri volti rimangono ignoti come se la loro vista fosse proibita, i nostri occhi sono gli occhi del cuore, cangianti e fosforescenti; e il perimetro della nostra esistenza una perenne sponda celeste e la nostra amata e dolce malinconia è nostra compagna. I nostri compagni sono inanimati e la nostra sola compagnia non è abbastanza a causa dei nostri destini condannati.
    Sono come uno spirito accovacciato e attraversato dall'oscurità che lo circonda. Essa è un mare nelle frequenze fantasmatiche che occupano i miei pensieri di giorno e di notte, ne sono incubato come in un sogno brillante e febbrile e senza fine. Osservo un cielo nero e vuoto, che ha forse qualche stella azzurra che la mia mente incontra solo in sogno. I venti trasportano senza riposo le cantilene delle sirene di questo mare interiore del cosmo mutilato, nero e abissale. Siamo forse soli in questa terra grigia e nera? Il cielo non ha forse amici oltre lo spiraglio vago della mente e dell' immaginazione? Gli umani la chiamavano follia, ma Follia era rosea e sbocciata come la primavera dentro l'inferno, che è il suo mondo, ma il nostro è un rimasuglio astrale di qualche luogo scomparso dall'universo.
    Attraversando le sponde dell' essere e lasciandomi trasportare alla deriva, sento il battito di quello che mi imprigiona nell'immobilità, un vortice di ricordi che alla fine non mi lascia nulla se non un senso di vuotezza. E così la mia memoria altro non è che il ricordo dei sogni che faccio di notte. Vedo un fiume di sensazioni sopra di me e mi scivola addosso senza lasciar traccia.
    Il grande drago divoratore brilla di rosso e mi minaccia senza impaurire, il suo potere ha su di me un effetto calmante. È così che cattura le sue prede, le immobilizza con l'ipnosi. Il mio conscio sbiadisce nel mio inconscio, che è colorato per natura. La razionalità mi abbandona, rimane una buona cosa solo se si vuol far poesia.
    La sensibilità è una maledizione che va trattata con le stesse cure che si hanno per un figlio o una cosa di enorme fragilità, ma la stretta della morte e della vita sono due terreni difficili. Morte e vita sono sorelle che piangono l'una per l'altra. Una dualità che sente la propria solitudine senza esser avvenuta una separazione, così come il nostro gruppo di nomadi.
    Non c'è nè un sole nè una luna a illuminare il nostro cammino, la sola luce che c'è è il grigiore di un limbo nato dal grembo freddo di una madre senz'amore, la nostra terra. E il cielo emette misteriosamente una strana luce nera in questo panorama vuoto di questo quasi luogo. La solitudine nera di un cuore fangoso riceve una sorgente che va oltre il terreno su cui si poggia, un' increspatura azzurra, la chiamiamo acqua. Un acqua oceanica che trasporta la freddezza degli angeli come segno di misericordia per la secchezza del nostro spirito. Qui non esistono nè cibo nè vesti, sicché siamo poveri di materia terrestre e ricchi di materia spirituale. Nessuno è stato padrone di una singola scelta ma la mano dell'ignoto vagare che assume la forma di padrone, un archetipo oscuro della mente umana che si fa strada tra le nostre osservazioni solitarie. Una vecchiaia mai vista e mai conosciuta, una nuova vecchiaia dello spirito che assume la capacità di espansione lungo le superfici delle cime e delle nubi inesistenti del buio più tetro, una nuova creatura celeste creatrice oltre la nostra immaginazione.
    Che differenza ci sarebbe se ci fosse la luce del sole? Noi viviamo in un solco che accoglie ogni cosa e la respinge allo stesso tempo in una contraddizione della natura, per questo l'indistinto è un regno di maleficio, un gigante malefico che oscura anche la visione più chiara e presente senza toglierne le caratteristiche, come per regalarti occhi diversi. Una derealizzazione spirituale. Quindi a che servirebbe un sole? Una luna? Se gli occhi del cuore parlano di globi scuri e arcaici in spazi vuoti.
    Siamo anime frastagliate nell'acqua caotica della vita, negli abissi e nei meandri di ciò che viene definito spazio, ma il tempo qui non esiste, ogni cosa che vediamo è una penombra di silenzio e musica distante, ogni cosa si allontana verso l'orizzonte, il quale è la misura della nostra esistenza.


    Vidi il volto, un fantasma rimasto intrappolato nella mia mente. Esso non aveva altro che se stesso e le stelle accanto. Il volto cambiava forma e colore senza che me ne accorgessi, lentamente e sottilmente. Un umanità portata alle estremità della propria esistenza perde parte di sé stessa e diventa quasi irriconoscibile, non come vecchiaia ma come origine del sè. I segni in un volto non sono nulla in confronto alla sua attuale esistenza come origine del sè. Così come il volto appartiene solo a se stesso e non viene controllato dalle emozioni poiché esse sono temporanee, così la neutralità di un volto può trasformarsi in qualsiasi cosa poiché non ha padrone se non Dio, e diventare alieno a sé stesso.
    Il volto aveva una tinta originaria dall' essenza di un sole sconosciuto, un colore liquido e di una luce unica e rara che solo il sogno poteva far emergere dall' oscurità più profonda. Lentamente il volto si trasformò in quel sole dalle mille cangianze, e non era bellezza vana, aveva un' aura esoterica e di mistero che solo un'altra galassia, oppure un altro strato della realtà, poteva offrire ai miei occhi. Ora il volto era un sole in lontananza. Sentivo il suo suono ardere di un' intensa attività, ma esso era talmente ammaliante da ricordare una melodia ripetitiva. Luce di ogni consapevolezza, esso rappresentava la qualità del sapere e la sua innata arcaicità.
    Ogni cosa ritorna a sé stessa, e anche le tracce più visibili prima o poi scompaiono dentro l'inconscio degli umani. Questo porta a far esperienza dell'essenza, ovvero del fulcro dell'esistenza, e non dei suoi contenuti. Che cosa rimane se non la solitudine dell'uomo di fronte a sé stesso? Pure le stelle passano lasciando un eco di morte. La loro magnitudine è troppo eccelsa per delle menti così fragili e limitate come le nostre, per questo la primordialità è origine di ordine e razionalità, la quale altro non è che uno strumento che nasconde le sue origini arcaiche, poiché il verbo del sogno porta a diventare il sogno stesso e non a guardarlo in lontananza. Il sole degli uomini non è lo stesso sole dei sogni, il quale porta una conoscenza arcana che viene intessuta negli occhi e nella pelle di chi l' ammira.
    Io cerco di afferrarlo, ma esso come me è una figura solitaria. Si allontana ad ogni mio passo lasciando parti di sè come eco del suo passaggio mentre si inoltra nell'inesistenza. La dormiveglia è intrisa di una ricerca caotica di qualche granello di sogno lasciato dal mare, ma io continuo a sentirne il vuoto riecheggiare in qualche parte sconosciuta della mia mente. Una terribile solitudine si fa strada tra i mosaici e le crepe illuminate del mio cuore sognatore, e soltanto chi ha saggiato l'acqua dell'oscuro principio può farne esperienza, il tocco del gigante malefico tra le dune di questo pianeta nero e i ruscelli turchesi, tra il soffio cosmico delle stelle e delle nubi, in un angolo familiare nascosto in un luogo senza nome nè direzione.
    Mi lascio cullare dalla visione di una luce che irradia calore nei venti portentosi di un deserto, un oceano di luce che sovrasta le sagome, e in un istante di secondo questa immagine inizia ad evaporare lasciando quel cielo illuminato come un semplice ricordo.

    Cammino e cammino senza una meta, non ricordo il mio nome nè da dove provengo. I nomadi sono estraniati tanto quanto me al punto da non riuscire a conversare e parlare, il silenzio diventa così un'altra compagna pronta a servire da ancora per le nostre menti. Noto in mezzo alle sabbie scure la mia mano farsi anch'essa scura e diventare sabbia senza sgretolarsi completamente, divento una statua di sabbia che continua a perderla senza cadere e cedere alla gravità. Quale allucinazione può far diventare un uomo una statua di sabbia? Io so di non essere pazzo, la mia mente è lucida poiché abituata alle tenebre di questo luogo, ma lo stupore ha la meglio su di me. Guardo gli altri nomadi per cercare il loro sguardo, cerco di aprire bocca ma non riesco a parlare per qualche oscuro motivo, sento le mie capacità di essere umano svanire lentamente in un vago e ignoto nero abisso del non essere. Sto diventando parte di questa terra ed essa inizia a sussurrare di cose strane che mai avrei fantasticato, i suoi venti sono delle mani che consegnano un messaggio e il sigillo per aprirlo è il tuo cuore. Ma il mio cuore e la mia lingua stanno diventando la sabbia di questa terra, affinché sia impossibile per me parlare dei suoi segreti. Gli altri nomadi neanche fecero caso a me, tanto erano assorti dai loro pensieri. Continuarono per il loro cammino abbandonandomi nella solitudine più lugubre e afflitta. Guardai il cielo nero e i suoi raggi di luce buia per cercare qualcosa ma non sapendo cosa, solo per evitare di avere un crollo.
    Quanto è estesa questa terra di sabbie maledette, e quanto sono irraggiungibili le sorgenti celesti che mantengono l'equilibrio di questo pianeta, nell'orizzonte senza tempo? Gli angeli ci hanno banditi, siamo stati abortiti alla nostra nascita e ora vaghiamo in un limbo tra l'esistere e il non esistere.
    Dall'abisso in cui mi ritrovo riesco a formulare ancora dei pensieri. La solitudine di questo luogo si addentra nelle ossa, ma adesso pure quelle vengono plasmate a seconda del volere di questa terra. Perché proprio io? E gli altri nomadi che fine faranno? Io li vedo allontanarsi e le loro sagome farsi indistinte come un miraggio, se ne vanno via da me.
    I nostri destini si sono incontrati perché entrambi siamo condannati a vagare senza alcuno scopo ad aspettarci alla fine del nostro cammino, solo il silenzio e la sofferenza di anime bandite riescono a dare una forma alle parole della nostra decadente coscienza. Quando sono solo, se lo sono sempre stato anche in loro compagnia? E quando non ho avuto compagnia, se la loro era sempre presente? E il loro silenzio e i loro movimenti lenti come il lamento del vento d'inverno non lo percepisco più, non sento il loro silenzio perché non vi sono più. Ora sono solo senza alcun genere di appoggio. Mi guardo le mani in cerca di empatia per me stesso, ma trovo solo sabbia, misero me. Non scorre più l'acqua del fiume della vita, si gela completamente; la guardo sopra di me, non sento più nulla e non sono più nulla anche nel granello di sabbia, solo un insieme di atomi, e il disgusto prende il sopravvento. Ciò che era umano adesso si è trasformato in polvere, e dove andrà a vagare la mia mente? Cosa mi terrà compagnia nella mia solitudine?
    Polvere, sono destinato a divenire polvere dalle mani fino alle membra; i miei piedi iniziano a cedere. Sento ogni parte di me farsi rarefatta e granulosa, sento ogni millimetro della pelle farsi sabbia. E questa sabbia proviene dal soffio del gigante malefico che ha deciso di portare la mia anima vicino alla tomba. All'inizio ero spaventato, ma adesso inizio a capire cosa significa lasciarsi andare alla deriva nella solitudine più cieca, e questa solitudine non ha più lo stesso effetto terrificante di trovarsi in bilico tra vita e morte visto che ormai non ho più energie in me per cercare di combattere contro la consapevolezza del mio destino.
    Noi non siamo altro che polvere di questo angolo di universo dimenticato, e nonostante questo riesco a trovare una sottile e delicata pace nei meandri dell'oscuro gigante archetipico, sapendo che presto le mie sofferenze avranno un termine. Non sarò più bandito perché farò parte di qualcosa di più grande della mia immaginazione.
    Per chi non ha un nome non ha importanza come si muore, l'unica cosa che conta è sentire il proprio battito per l'ultima volta.
    Un bagno di luce scorre sui miei occhi. Un manto di luce fredda, luce d'estate, un grande sprazzo d'abbagliante luce cosmica proveniente da un luogo surreale obbligato a nascondersi in un' iridescenza d'arcobaleno. La vita è nascosta nel grembo della terra, nel buio delle acque, e viene scaldata dell'alienità di una sostanza eterea chiamata luce. La morte si libera nell'aria, impercettibile dea tra le nubi d'argento, e sprigiona la luce interiore, la dissipa nel vento, la disperde. La vita la tiene sotto la sua presenza fredda e femminea, la morte la disperde nell'etere del cielo più alto sotto il calore ultimo dei mille soli dell'anima, come ultimo segno di vita trasportato via.

    Ora ricordo: esso è l'oracolo. Il gigante che viene da sopra la luna e ne cattura la bellezza perché è sua, che sa fin dal principio e conosce i soli del sapere, il gigante sotto il quale la mente umana è prigioniera e cullata dalla sua presenza semi divina, ma le menti sono attorniate se bandite dall' Eden. Il motivo del perché io sia bandito rimane un mistero, sicché io non ricordo una vita all'infuori da questo pianeta, e il sapere che ho mi viene dato solo in sogno.
    L'archetipo degli archetipi e di ogni forma e segmento sovrasta la consapevolezza di esistere dell'uomo, il quale non sa di essere polvere al suo confronto.
    "Chi sono io?" disse il gigante malefico. "Io sono un sogno al crepuscolo, io sono quello che tu chiami significato, sono la nascita e la dispersione della materia primordiale di ogni immagine, la memoria dell'universo. Il simbolo, le sponde del mare e del pensiero, un fuoco rivelatore, un incendio interiore, una visione. Il mio manto celeste irradia luminescenza da un altro pianeta, la mia guida un segreto tra i segreti, esso si nasconde nelle mie ali. Sono il candore lunare e le sue tinte, un oracolo di infinite possibilità e il limite di una singola e unica realtà universale. Sono una figura androgina mandata dal cielo insondabile dei sognatori."
    Il mio cuore emette segnali come fosse ferraglia meccanica all' evanescenza del paradiso perduto, il quale altro non era che un sogno, un ancestrale illusione feconda di canzoni fiabesche e ritmi fuori dal tempo come lo conosciamo, verso i confini di ciò che è saputo in questa nostra esistenza. Così le onde frastagliate colpiscono ciò che di fisico c'è attraversandolo come punta di lama, e rientrando nelle loro sorgenti ignote, dove tutto è immaginazione.

    La velatura celeste (parte seconda)

    Il mio viaggio non comporta alcun cammino, dalle profondità io provengo e sulla superficie io compaio, verso la fine del mio tempo. Il tempo, quale oscuro soldato tra le nebbie fittizie; esso è diverso qui, dove intempesta la notte più torbida con i suoi cicli lunari e le sue follie più feconde, tra i boccioli più luminosi e i tuoni, con le sue maree. Io sono in un fosso fangoso, all'interno di esso vi trovo un giaciglio dove di giorno mi addormento.
    E così la mia notte è giorno e il mio giorno la notte. La mia dimora è il sogno tempestato di luce che brilla dal sole nella mia notte, un alto astro insondabile nel cristallo del cielo, un caleidoscopio di luce. La mia notte è un giorno infuocato che arde come una spada appena temprata, che spaventa come una pioggia di fuoco. Senza il velo freddo del mio mondo questo diverrebbe un incubo, ma qui le temperature sono gelide e mi permettono di sognare senza troppi tumulti interiori.
    Il mio cuore si intravede dal mio corpo come per esaltare la mia natura di creatura fragile e isolata, così come il cuore risulta isolato dal resto dei miei organi che rimangono invece nascosti. Non è il mio cuore un organo? Esso traspare come un livido sulla mia pelle diafana.
    Quando esco dal mio giaciglio mi inoltro ancora più in basso, verso rovine di marmo bianco che rimane splendido e intoccato dalla sua stessa caduta, il cui splendore rimane impresso dai tempi più antichi e imperscrutabili. Lì trovo le mie perle che ho nascosto e che riflettono la luce semi trasparente del marmo, e le osservo per auto ipnotizzarmi e trovare del candore in ciò.
    Queste rovine raccontano di mille guerre, eppure nessuna di esse ha ostacolato la luce di questo marmo, neanche il sangue.
    Posso sentire canti di disperazione in mezzo alle macerie bianche, canti che vanno oltre il dolore stesso, melodie che risuonano nel vuoto della mia solitudine, nel chiarore della luna che mi guarda con compassione.
    Il sapore dell'antichità che veglia i miei giorni è sinuoso e sensualmente nostalgico, e ricorda di luci e ombre del passato che nessuno ha mai visto finora.
    Mi sposto verso l'alto e sento il tempo farsi arcano, le onde diventano turchesi e la mia bussola interiore non trova più casa. Il mio giaciglio scompare con le mie tracce e più mi allontano più avviene la sgretolazione di quello che conoscevo come familiare.
    La mia pelle diafana inizia ad avere delle tinte dorate, mi trasformo in un insieme di colori pittoreschi a contatto con la luce del sole, anche se essa rimane distante. La mia mente galoppa e rivive esperienze non proprie, originarie delle vite degli uomini che hanno attraversato questi mari, e mi lascio trascinare dalla loro intensità.
    Visioni di battaglie e segreti attraversarono i miei occhi, e sognai sotto la luce del sole.
    Nuotai più in alto e uscii completamente dalla mia conchiglia interiore fatta di luci e visioni per approcciarmi alla superficie, appena la raggiunsi venni come fulminata da una forte impressione visiva. Il mare è più vasto e solitario di quello che mi sembrava nei fondali marini.
    La spuma del mare mi dette capelli argentei e una pelle nuova, ora avevo più colore, ma quando notai questi dettagli notai anche un'altra cosa, una voce in lontananza: "Eccola! Ecco la sirena, uccidetela!"

    I viaggiatori del cosmo hanno sondato mari e terre oscure per cercare tesori proibiti e trovare nuova vita, abbandonando la loro terra, la misera terra che hanno ridotto ad uno scempio di sangue. Per redimersi hanno varcato soglie non proprie, hanno toccato luoghi che non gli appartenevano, sono entrati in case non loro. L'universo ha abbastanza spazio per tutti e tutto, ma l' uomo decise che non era abbastanza, così scelse terre abitate per abbatterle e ricostruire ciò che non poteva essere sostituito, cercando di sostituire il posto di Dio, profanando le sue creature.
    Ho riposato per secoli dentro fossi per connettermi con energie sigillate dalla terra, come una figlia in grembo di sua madre. Decisi un giorno di scoprire la superficie combattendo contro le mie paure, scoprendo tesori della mente astrale, come la chiaroveggenza. Ma gli uomini avevano deciso che fosse meglio castigare quello che non apparteneva al loro mondo, per orgoglio.
    Inesplicabili torture vennero inflitte alla mia specie e dopo qualche secolo fu estinta, rimasi solo io. Fuggii dai barbari e proseguii nelle mie impressioni e ricerche astrali dove mi aspettavano l'ombra e la luce delle stelle nei lontani abissi oceanici velati d'azzurro.
    Ritornai nel tempo dove tutto ebbe un inizio e una fine, un portale dove i luoghi si riuniscono e si dissipano in un eclissi perenne.
    Una profezia si aggirava nelle voci del deserto "l'ultima tra gli ultimi verrà seppellita nella tomba dei vivi e tutti fuggiranno via dallo sguardo d'argento". Lo sguardo della chiaroveggenza è insito nel destino di chi sopravvive l'inferno di questi uomini, che rispecchiano audacemente la natura umana di ogni epoca. Ogni epoca in cui l'uomo ha vissuto si lega allo stesso centro focale della sua esistenza dove gravita la cupidigia, l'egoismo e la sete di sangue. La coppa dalla quale bevono il loro stesso sangue viene brandita con la sola forza che un uomo può avere: la violenza; i miei occhi possono mimetizzarsi al punto da risultare irriconoscibili e mirare nella loro direzione senza che nessuno se ne accorga, o al contrario, essi ne vengono attratti come alla vista di uno dei loro tesori più preziosi, la ricchezza del diamante. Il diamante come ultima forma della luce riflessa e che acceca gli uomini come un sole d'estate. Due diamanti incastonati nella mia testa come simbolo delle mie visioni più recondite, come l'acqua risulta mutevole sia nel colore che nella forma così sono anche i miei occhi: due cristalli che riflettono le cose con la loro trasparenza. Una trasparenza liquida nella solidificazione di un corpo che racchiude l'evoluzione in eoni. La luce del sole dona una visione ancora più cristallina e i miei occhi vedono la loro stessa trasparenza in una danza di colori vividi di iridescenze e calore, e soltanto io riesco a guardare il sole. Il sole è un bambino interiore che osserva la sua vita pronto a morire con un sorriso, una luce da un luogo alto e supremo che incorona di fuoco celeste la mia testa.
    La vita per chi ha vissuto a lungo tanto quanto me diventa un indistinto ciclo spirituale dove le forze derivano dai segreti della notte più oscura, la superficie invece regala una sorte di accettazione della fine del proprio tempo. Solo le creature simili a me riescono a vedere la realtà, gli uomini se avessero gli occhi per vedere impazzirebbero, per questo il mio sguardo argenteo è in grado di portarli alla follia. Solo uno spirito avvolto dalla velatura celeste del mare può conoscere le acque della vita e gli abissi della morte. La luce del sole da sola non fa niente agli uomini, ma con la velatura celeste esso diventa un' altra fonte di sacro sapere.

    Il padre di questo mare è costituito da una luce blu ed è chiamato da tutti "il gigante malefico" perché porta i viaggiatori a sbandare su rocce e ad affogare grazie alle illusioni che genera dalle acque, per vendicare la morte delle mie sorelle, le sue figlie.
     
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